-In questa giornata per la Vita, la Parola di Dio ci ha condotti dentro al mistero più oscuro della vita, che è quello del dolore e della malattia. Non sempre la vita è semplice o piacevole: c’è una gran parte di umanità, che trova poco spazio nell’attenzione della nostra società, e che sperimenta tutta la durezza del male, nel corpo o nell’anima. Per me la visita alle famiglie durante questo periodo delle benedizioni pasquali è sempre un bagno di realtà, perché si incontrano tante persone sofferenti e sole, nascoste agli occhi della gente; persone che non escono mai di casa, famiglie provate dalla malattia di qualche loro membro, anziani che invocano la morte perché si sentono un peso inutile per un mondo che punta tutto sulla produttività e sull’efficienza. Tanti anziani soli e pochissimi bambini: questo è il prodotto di una politica miope che da decenni vive un processo di autodistruzione, ostacolando le famiglie e la natalità, promuovendo forme ben camuffate di eugenetica e di eliminazione delle forme di vita più deboli di cui non ci si vuole prendere cura perché le si considera un peso insostenibile.
-Dobbiamo chiederci come comunità cristiane che cosa facciamo per ridare dignità e voce alla vita in ogni sua forma, con quali stili di vita alternativi rispondiamo alla cultura di morte che ci circonda.
-Nel Vangelo vediamo qual è lo stile di Gesù, che è nostro maestro. Uscito dalla sinagoga, si reca in una casa e si fa prossimo ad una persona ammalata. Alla sera accoglie tutti i malati e gli indemoniati che premono davanti alla porta. In questo modo Gesù annuncia che è venuto il regno di Dio: lasciandosi toccare dalla sofferenza umana ed entrando in relazione, dedicando del tempo alle persone che sono nel dolore e che hanno perso la speranza. Notiamo però anche un particolare: quello della casa e della famiglia di Simone e Andrea. Quella casa raffigura la Chiesa come dovrebbe essere: dove Gesù si fa presente e dove noi gli presentiamo prima di tutto le nostre membra sofferenti. La casa che non chiude la porta ma la apre per tutti coloro che cercano salvezza e conforto. Ma se perfino le nostre comunità mettono i propri programmi e le cose da fare davanti alle persone; se mettono al centro chi è forte e attivo e non chi è debole e non può dare nulla; se chiude le porte a coloro che sono fuori e stanno cercando chi possa donare loro la vita vera, allora dobbiamo chiederci se stiamo veramente rendendo presente Gesù Cristo.
-Gesù ci offre un secondo spunto di discernimento ecclesiale: infatti vediamo che non si ferma a guarire tutti, che prende del tempo di solitudine per la preghiera, e che quando lo vanno a cercare lui si sottrae e va oltre. Gesù non è un guaritore a comando e non vuole fondare una organizzazione benefica o un ospedale. Sa bene che la vita vera non sta nella salute fisica o mentale, ma è qualcosa di più grande. Il suo scopo non è quello di legare le persone a sé, ma quello di annunciare il regno di Dio.
-A volte le nostre parrocchie sono luoghi dove si compiono tante opere di bene verso i poveri, i malati, i fragili; questo può metterci nell’illusione di fare la volontà di Dio. Ma sappiamo come sia facile cadere anche qui nella tentazione dell’efficientismo, di considerare le persone che incontriamo degli utenti, offrendo loro dei servizi senza mai entrare veramente in relazione profonda con loro. Possiamo essere talmente assorbiti dal fare del bene da dimenticarci di mettere al centro il Signore, di pregare, di vedere il suo volto in quello di chi serviamo. Possiamo anche vivere la tentazione di legare le persone a noi anziché condurle a Gesù, cercando la gratitudine altrui più che la gloria di Dio.
-Gesù dice: «Andiamocene altrove (…) perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!». Gesù è venuto per annunciare il Vangelo, non per guarire malati o distribuire sacramenti. Questi sono i segni che accompagnano l’annuncio, ma senza l’annuncio rimangono segni vuoti. Noi a volte rischiamo di offrire tanti servizi importanti, ma senza annunciare il Vangelo. «Guai a me se non annuncio il Vangelo!»: non è un di più che riguarda i preti o gli esperti di teologia, non è un motivo di vanto per chi riesce ad aggiungerlo alle cose importanti. È una necessità vitale: per me e per chi ascolta. Infatti non basta guarire da una malattia o essere liberato da qualcosa che reca sofferenza per trovare la vita, un senso per la propria esistenza: chi mi dà la vita è Gesù Cristo, perché lui ha preso le mie infermità e si è caricato dei miei dolori. Salendo sulla croce lui ha preso su di sé ciò che mi uccide ogni giorno, il mio peccato, e mi ha dato la possibilità di vivere una vita nuova, sia nella salute che nella malattia.
-Mi impegnerò dunque con tutto me stesso per prendermi cura dei fratelli che soffrono nel corpo, ma lo farò da cristiano: facendomi debole con loro, caricandomi delle loro sofferenze e annunciando loro che Gesù Cristo li ha liberati dal male più letale, che è il peccato. Tutto farò per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io.