Cos’ho fatto, Signore, dei tuoi doni?
Cos’ho fatto della fede che mi hanno trasmesso,
dei momenti speciali in cui ho ricevuto il tuo pane,
delle mille tue parole ascoltate in una chiesa?
Cos’ho fatto dei tesori raccolti nel mondo,
della bellezza dei suoni e dei colori,
della possibilità di un giorno che si apre
e della fantasia che lo può riempire di buono?
Cos’ho fatto delle mie mani sapienti, di milioni di passi,
dei miei sensi accesi, di una mente vivace?
Cos’ho fatto dei sorrisi e dei gesti d’amore,
dell’affetto, della fiducia e della stima di familiari e amici,
delle migliaia di persone che ho incrociato
e mi hanno regalato qualcosa di sé?
Cos’ho fatto del passato e del futuro,
delle possibilità che la vita mi regala ogni giorno,
della speranza che mi fa vedere più in là del momento,
della carità che mi spinge a spendermi per chi ho intorno?
Cos’ho fatto del respiro dell’universo in cui mi hai immerso,
dell’amore che provi per me in ogni istante,
della pazienza che moltiplichi perdonando i miei peccati?
Davvero mi hai regalato l’infinito e io spero che in mezzo a tutto questo ben di Dio qualcosa sia riuscito a mettere in luce,
diffondere, restituire.
«C’è una vecchia tradizione giudeo-cristiana secondo la quale Dio manda ognuno di noi in questo mondo con un messaggio speciale da consegnare, con uno speciale atto d’amore da compiere. Il tuo messaggio e il tuo atto d’amore sono affidati soltanto a te, il mio è affidato soltanto a me. Se questo messaggio debba raggiungere solo poche persone o tutti gli abitanti di una città o il mondo intero dipende esclusivamente dalla scelta di Dio. L’unica cosa importante è essere convinti che ognuno di noi è adeguatamente equipaggiato: tu hai i doni giusti per consegnare il tuo messaggio e io ho i doni appositamente scelti per consegnare il mio. Sarebbe inutile e anche sciocco confrontare me stesso con te. Ognuno di noi è unico, non esistono fotocopie o cloni di nessuno. Ognuno di noi è un originale fatto da Dio».
È incoraggiante questa riflessione del sacerdote e psicologo gesuita John Powell. A nessuno verrà chiesto di essere la copia esatta di un qualsiasi santo: abbiamo famiglia, personalità, luoghi, tempi e storie diverse. Piuttosto dovrà diventare pienamente se stesso, imparando le virtù che i santi hanno mostrato. Così il rimprovero del padrone nella parabola dei talenti è per la sua mancata operosità, prigioniera della paura e della pigrizia. Come la lode per la donna «forte» del libro dei Proverbi, che sentiamo oggi nella prima lettura, riguarda la sua affidabilità, la sua laboriosità e la sua generosità, verso il marito e verso il povero. Non siamo noi ad avere il merito né la scelta dei doni ricevuti; ma tocca a noi accoglierli, svilupparli e restituirli, offrendoli a chi in-contriamo. Sarà questo il nostro messaggio speciale per il mondo.