È la vita
il banchetto che hai preparato per noi, Signore.
Hai apparecchiato un tavolo
lungo quanto il mondo,
con cibi succulenti, frutti prelibati,
sapori variegati.
Ci delizi con fantasie di colori,
fragranze di profumi, armonie di suoni.
Ci tocchi con la dolcezza delle parole di affetto,
con la morbidezza che protegge il nostro corpo,
la saggezza che ci aiuta a conoscere,
la profondità che ci conduce al cuore di noi.
Nulla hai messo a caso
o è privo di senso.
Tutto parla della tua bellezza e grandezza,
della tua sapienza e bontà.
Ci doni la gioia di condividere la cena
con donne e uomini, immagine di te.
Abbiamo il piacere di accogliere
sensazioni e pensieri, emozioni e spiritualità,
nutrendoci della loro presenza.
Non ti ringrazieremo mai abbastanza
per questo banchetto, ma mentre lo facciamo
tu ci sussurri che è una pallida immagine
di ciò che ci hai preparato
per l’eternità.
Nella parabola degli invitati a nozze che ascoltiamo oggi nell’Eucarestia, il re è Dio e la festa di nozze è la «nuova ed eterna alleanza» sancita dal Padre attraverso il sacrificio di Gesù. L’antica alleanza era tra Dio e il suo popolo. Egli aveva familiarizzato per secoli con lui e, ora che sta per iniziare la festa, gli invitati non vogliono venire, trovano altri impegni, o addirittura insultano e uccidono i suoi servi. Evidentemente Gesù sta parlando anche di sé. Non ci deve stupire la dura punizione del re, con ferro e fuoco.
L’evangelista Matteo, che scrive intorno all’80 d.C., sa che è esattamente ciò che è successo pochi anni prima con la distruzione della città e del Tempio di Gerusalemme. Eppure la sala della nuova alleanza si sta riempiendo di commensali: tutti gli uomini, infatti, ora vengono invitati. L’unica richiesta che viene fatta loro è l’abito nuziale. I contemporanei di Gesù sapevano che questo vestito era offerto con l’invito. Quindi se non ne erano provvisti semplicemente l’avevano rifiutato. Vale anche per noi: la mensa di Dio è sempre gratuita. Ma siamo pronti a riconoscerlo, ad ascoltarlo, a seguirlo? La parabola, riletta oggi, deve farci pensare: i depositari della millenaria cultura cristiana sono sempre i più convinti sostenitori della prassi del Vangelo? Nelle nostre comunità, nei nostri oratori, è più facile trovare persone disponibili e credenti tra gli autoctoni o tra i nuovi arrivati? Siamo veramente disposti a indossare l’abito della fede e dell’amore fraterno? «Molti sono chiamati, ma pochi eletti».