-Oggi si completa quella che potremmo chiamare la “trilogia” della giustizia di Dio: tre domeniche nelle quali Dio si rivela come “diversamente giusto” rispetto ai parametri umani e in questo modo fa scricchiolare le nostre pretese di giustizia che ci fanno assumere spesso il ruolo di giudici.
-Nella parabola del servo spietato, a cui è stato condonato il debito, ma che non è disposto a fare altrettanto con un suo compagno, abbiamo visto come la giustizia di Dio si manifesta soprattutto nel perdono e nella compassione verso ogni sua creatura. Allo stesso modo, noi siamo davvero giusti quando sappiamo vincere l’odio e il rancore per i torti subiti.
-Nella parabola dei servi chiamati ad ogni ora a lavorare nella vigna, la giustizia di Dio si è rivelata come il dare a ciascuno il meglio, al di là di ogni criterio strettamente retributivo. Così è emersa la nostra attitudine all’invidia per il bene altrui, che nasce dal dimenticarci che tutto è grazia.
-Oggi, in questa parabola dei due figli, vediamo un altro aspetto della giustizia di Dio verso di noi, che è la pazienza. Dio non ci inchioda mai ai nostri errori, ma attende che noi possiamo pentirci e cambiare vita. Dio non è un moralista, che separa i buoni dai cattivi: sa bene infatti che nessuno è buono, che tutti noi viviamo uno stato di imperfezione e che tutti abbiamo bisogno della sua infinita pazienza.
-Ci sono dunque questi due figli, che possiamo caratterizzare su due piani: quello della risposta al comando del padre e quello dell’azione. Sul piano della risposta, uno dice di sì e l’altro di no. Sul piano dell’azione, uno compie la volontà del padre, l’altro no.
-A Gesù importa questo secondo aspetto: non chiede infatti: «chi dei due ha risposto correttamente al padre?»; chiede invece: «Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?».
-Dio ci giudica sull’esito finale della nostra vita, non sui singoli atti. Non è un insegnante che fa la media dei voti per decidere se promuovere o bocciare l’alunno: guarda ciò che siamo alla fine. Il profeta Ezechiele registra una mormorazione che serpeggiava nel popolo per questo modo di agire di Dio: «Non è retto il modo di agire del Signore». Non è in fondo la stessa accusa che rivolgiamo anche noi a Dio? Quella persona si è sempre comportata in modo integro, poi alla fine si è concessa qualche eccesso e ha smesso di vivere secondo la legge di Dio. Cosa vuoi che sia, in confronto a tutto il bene che ha fatto? Perché dovrebbe morire? E invece, quello lì che per una vita ha commesso dei crimini terribili e solo dopo tanti anni si è pentito, Dio lo perdona e lo salva. Non è giusto!
-Dio ribalta l’accusa e chiede: «non è retta la mia condotta o piuttosto non è retta la vostra?». Pensi davvero di essere più giusto di Dio? Sappi invece che i pubblicani e le prostitute ti passano avanti nel regno di Dio!
-Dunque Dio preferisce i cattivi ai buoni? Non è questione di buoni o cattivi, perché tutti siamo cattivi. La vera differenza è che ci sono cattivi che riconoscono di esserlo e si pentono, mentre altri non lo riconoscono e induriscono il cuore nella presunzione di essere giusti.
-La giustizia di Dio si rivela quindi nella pazienza. Ma qual è invece il segreto della nostra giustizia? Che cosa cerca in noi il Signore? Cerca l’obbedienza. Al padre non importa prima di tutto della vigna, ma dei figli. Conosce la loro fragilità e la rispetta. Chiede un servizio, ma ciò che è davvero prezioso non è il servizio, bensì l’obbedienza, l’adesione del cuore. Gesù si è svuotato, assumendo la condizione di servo; ma non è finita lì. Si è umiliato, facendosi obbediente fino alla morte di croce. Senza questo ulteriore passaggio, il suo essere servo sarebbe solo una nota esteriore. Questo vale anche per noi: è bello e importante servire, ma bisogna farlo ad imitazione di Gesù, cioè nell’obbedienza alla volontà del Padre. Può capitare che noi assumiamo molti servizi, anche impegnativi, facendo grandi sacrifici, ma non in obbedienza a Dio. Che serviamo facendo quello che ci pare, quello che ci gratifica; ma se ci viene chiesto un servizio diverso da quello che ci piace o che siamo abituati a svolgere, ci giriamo dall’altra parte.
-La parabola dei due figli mette in luce tutto questo. Il primo figlio, che dice al padre «non ne ho voglia», rivela che non sempre la volontà di Dio corrisponde alla nostra. Anche Gesù nel Getsemani chiedeva al Padre di essere liberato dalla croce, non voleva soffrire e morire. Ma aggiunse: «Non sia fatta la mia, ma la tua volontà». Gesù è il servo obbediente, che conforma la sua volontà a quella del Padre. Questa è la vera giustizia, più grande di quella di chi si ribella dicendo: «non è giusto morire in croce così, so io cosa è meglio fare per risolvere le cose». Ma per vivere la vera giustizia è necessario che ci sia un movimento del cuore, come per quel figlio che ha detto di no, poi si è pentito, ha riflettuto e ha obbedito al padre. Finché noi siamo troppo attaccati alla nostra giustizia per obbedire a Dio, invece, nulla potrà avvenire, e i pubblicani e le prostitute, gli operai dell’ultima ora, continueranno a mettere la freccia per passarci avanti, perché nel loro stato di peccato hanno conservato l’umiltà di riconoscere i propri errori e il coraggio di cambiare vita.
-Il Signore ci conceda lo spirito di umiltà per imparare a vivere non nella nostra giustizia, così piccola e fragile, ma nell’obbedienza a lui e ai suoi progetti misteriosi.