Com’è ti sembra la mia fede?
Signore, cosa ne pensi?
Forse non sarei così insistente
come la Cananea,
e neppure così umile e remissivo.
Magari accamperei i «diritti acquisiti»
da un Battesimo e mille Eucaristie,
dalla mia buona volontà in famiglia
e sul lavoro,
da qualche piccolo gesto di carità
o di elemosina.
Magari rivendicherei le mie urgenze,
rivolgendomi al tuo cuore paterno
con somma convinzione e… interesse.
Magari ti ricorderei che, aiutando me,
aiuteresti tutti coloro
che mi incontreranno, rinnovato, nel futuro.
Magari cercherei di convincerti
che non prego per me,
ma soltanto per chi amo;
ma in realtà sono io
ad aver bisogno di loro.
No, Signore.
Se avessi fede starei in silenzio,
a guardarti e a cercare di capirti.
Imparerei dalla tua fede,
senza bisogno di parole,
senza bisogno di pensieri,
umile seguace di chi vive ciò che ha
e lascia a Dio tutto il resto.
«Sì, anche Gesù ha dovuto imparare. E persino durante la sua vita pubblica, a seguire l’episodio del Vangelo di Matteo proposto oggi nella liturgia domenicale. Egli si era «ritirato dalle parti di Tiro e Sidone» con i suoi discepoli, probabilmente sperando di potersi prendere cura del suo piccolo gruppo, dopo l’estenuante lavoro con «le pecore perdute della casa d’Israele». Umanamente, possiamo comprendere la scelta di Gesù di ignorare l’ennesima richiesta di una guarigione, oltre tutto da parte di una donna appartenente a un altro popolo. È questo il motivo col quale giustifica il suo rifiuto ai discepoli, che invece gradirebbero un intervento per eliminare il fastidio provocato dalle sue insistenze. È giusto ricordare che gli abitanti di quella terra erano stati per secoli nemici degli Ebrei, che continuavano a chiamarli cani anche dopo la fine delle ostilità. Non è così strana, quindi, quella battuta che a noi può sembrare un insulto, pur moderato dal diminutivo: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». La risposta della donna, la cui fede e amore portano ad accontentarsi delle «briciole», squarcia le convinzioni di Gesù e apre l’universalità della sua missione. Nel riconoscimento della sua fede grande e nella guarigione immediata ritroviamo il Gesù che conosciamo. Quello accogliente, instancabile, generoso. Da questo episodio sappiamo che non è stato facile e automatico esserlo, nemmeno per lui.