La lettura evangelica che abbiamo proclamato (Mc 1,21b-28) ci presenta l’autorità che contraddistingueva l’insegnamento di Gesù e che non poteva non colpire i suoi ascoltatori: “Un insegnamento nuovo, dato con autorità”. Non solo una parola che non ha bisogno di rifarsi alle opinioni dei precedenti maestri, ma una parola efficace che “comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!”. L’autorità di Gesù si prolunga nella missione della Chiesa, che in suo nome dichiara i peccati perdonati e la morte sconfitta. Non si tratta evidentemente del nostro proprio merito, ma di quello di Cristo morto e risorto, su cui la morte non ha più potere. La venuta di Cristo fra noi è stata indubbiamente segnata anche dal mistero della debolezza. Secondo l’autore della Lettera agli Ebrei (Eb 2,5-12) “Conveniva che Dio – per il quale e mediante il quale esistono tutte le cose, lui che conduce molti figli alla gloria – rendesse perfetto per mezzo delle sofferenze il capo che guida alla salvezza”. La passione di Cristo non è stata un semplice incidente di percorso, ma il compimento di un provvidenziale disegno: “perfetto per mezzo delle sofferenze”. Senza passione e morte Gesù non sarebbe stato in tutto simile agli uomini, della cui vita queste esperienze fanno parte inscindibile.
Questo mistero di autorità crocifissa, di forza nella debolezza, si prolunga nella realtà della Chiesa. In essa il peccato dei suoi membri costituisce spesso una ulteriore “povertà”, da cui Cristo è stato esente. Ma proprio così può risaltare ancor più che la grazia proviene da Dio e non dagli uomini, che la nostra santificazione è opera del Cielo e non della terra. Ricordare il ministero di un pastore che ha bruscamente interrotto il suo servizio tra noi nel fiore dei suoi anni significa immergerci fino in fondo nel mistero della nostra fragilità, entro la quale e mediante la quale Dio ha operato e continua ad operare grandi cose. Il Signore ci aiuti a non disperdere la testimonianza lasciata tra di noi da don Fabio, di cui l’affetto corale di questa comunità è segno evidente e luminoso.
don Francesco
Rendimi pescatore di uomini, Signore.
Insegnami a vedere
le cose buone che ognuno ha,
perché in fondo a ogni cuore
c’è già l’immagine di Te.
Insegnami a incoraggiare,
esprimendo ciò che ho visto,
lodando gli aspetti positivi,
raccontando la bellezza delle sue potenzialità.
Insegnami a trovare
gli spazi della crescita,
a sfidare l’altro verso nuovi obiettivi,
a fargli raggiungere la pienezza
che Tu avevi in serbo per lui.
Insegnami a capire
i tempi giusti per i miei interventi,
l’atmosfera da creare,
le parole più rispettose, incisive e adeguate.
Insegnami ad accogliere e aspettare,
quando le risposte sembrano a un passo,
ma il mio passo è più veloce di quello altrui.
Insegnami a perdonare
chi ha bisogno di un grande sforzo
per superare i suoi limiti
e dissotterrare le perle nascoste
in fondo alla sua anima.
Insegnami ad amare,
perché i pesci sono un dono per me,
ma anche io sono un dono per loro.
Anzitutto la Parola svela Dio. Gesù, all’inizio della sua missione, commentando quel determinato passo del profeta Isaia, annuncia una scelta precisa: è venuto per la liberazione dei poveri e degli oppressi (cfr v. 18). Così, proprio attraverso le Scritture, ci svela il volto di Dio come di Colui che si prende cura della nostra povertà ed ha a cuore il nostro destino. Non è un padrone arroccato nei cieli – quell’immagine di Dio brutta, no, non è così – ma un Padre che segue i nostri passi. Non è un freddo osservatore distaccato e impassibile, un Dio “matematico”. È il Dio-con-noi, che si appassiona alla nostra vita e si coinvolge fino a piangere le nostre lacrime. Non è un dio neutrale e indifferente, ma lo Spirito amante dell’uomo, che ci difende, ci consiglia, prende posizione a nostro favore, si mette in gioco, si compromette con il nostro dolore. Sempre è presente lì. Ecco «il lieto annuncio» (v. 18) che Gesù proclama davanti allo sguardo stupito di tutti: Dio è vicino e si vuole prendere cura di me, di te, di tutti. E questo è il tratto di Dio: vicinanza. Lui stesso si definisce così; dice al popolo, nel Deuteronomio: “Quale popolo ha i suoi dèi vicini a sé, come io sono vicino a te?” (cfr Dt 4,7). Il Dio vicino, con quella vicinanza che è compassionevole e tenera, vuole sollevarti dai pesi che ti schiacciano, vuole riscaldare il freddo dei tuoi inverni, vuole illuminare le tue giornate oscure, vuole sostenere i tuoi passi incerti. E lo fa con la sua Parola, con la quale ti parla per riaccendere la speranza dentro le ceneri delle tue paure, per farti ritrovare la gioia nei labirinti delle tue tristezze, per riempire di speranza l’amarezza delle solitudini. Ti fa andare, ma non in un labirinto: ti fa andare nel cammino, per trovarlo di più, ogni giorno. Per convertirci al vero Dio, Gesù ci indica da dove partire: dalla Parola. Essa, raccontandoci la storia d’amore di Dio per noi, ci libera dalle paure e dai preconcetti su di Lui, che spengono la gioia della fede. La Parola abbatte i falsi idoli, smaschera le nostre proiezioni, distrugge le rappresentazioni troppo umane di Dio e ci riporta al suo volto vero, alla sua misericordia. La Parola di Dio nutre e rinnova la fede: rimettiamola al centro della preghiera e della vita spirituale! Al centro, la Parola che ci rivela come è Dio. La Parola che ci fa vicini a Dio.