-Il filo conduttore che dal Natale ci ha condotti fin qui è certamente l’immagine della luce. Gesù è la luce vera che illumina ogni uomo. È lui la luce che i Magi cercano seguendo quella della stella. È lui la luce delle nazioni che risplende su un popolo che abita nelle tenebre, come aveva profetizzato Isaia. Lui lo diceva in riferimento al popolo di Israele, deportato in Assiria, e di quelle terre, prima abitate dal popolo di Dio ed ora conquistate dai pagani. Il Vangelo di Matteo riprende quella profezia di Isaia per dirci che si compie in Gesù, che inizia la sua predicazione proprio in quelle terre che erano ai margini di Israele, lontane dalla fede e rassegnate a vivere lontane da Dio.
-Appena si spegne la lucerna di Giovanni Battista, che viene arrestato a causa della sua predicazione scomoda, si accende la luce attesa da sempre. È una luce che non attende più di essere cercata, ma che prende l’iniziativa, raggiungendo tutti. Gesù non è un maestro che attende dei discepoli, ma è un uomo in cammino. Le sue parole sono le stesse di Giovanni Battista; ora però non è la gente che va a cercarlo, ma è lui che va verso la gente.
-Se il regno dei cieli si è avvicinato, non c’è tempo per aspettare: questo regno deve raggiungere la vita delle persone. Gesù cammina e chiama, cammina e insegna, cammina e guarisce. Così ci insegna uno stile, che deve essere quello della Chiesa e delle nostre comunità.
-Non posso annunciarti un Dio vicino, se tengo le distanze da te. Non posso invitarti alla conversione, se io non sono il primo a muovermi e a mettermi in discussione incontrandoti. Non posso essere luce se mi chiudo nei miei rifugi protetti e rassicuranti.
-La grandezza del Vangelo è questa: si immerge sempre dove le tenebre sono più fitte, dove la speranza non c’è più. Quando non permettiamo al Vangelo di raggiungere chi è ferito dalla vita, di rileggere con uno sguardo nuovo i lutti, le catastrofi; quando pensiamo che ci siano situazioni che non hanno nulla a che fare col Vangelo, noi mettiamo un muro davanti all’azione di Dio e dimostriamo di non avere fede. Il Vangelo è esattamente quella parola che noi non potremmo pronunciare basandoci sui nostri ragionamenti e sulle nostre soluzioni, perché è la vita che vince la morte, mentre noi possiamo al massimo intervenire su ciò che è vivo. Gesù non viene a mettere delle pezze su dei buchi, a riparare qualcosa che si è rotto: viene a ridare la vita a ciò che è morto. Per questo san Paolo si raccomanda che il Vangelo vada annunciato non con sapienza di parola, per non rendere vana la croce di Cristo. Gesù ha preso sul serio la nostra morte e il suo scandalo, la nostra impotenza di fronte al male. Questo Paolo l’aveva capito e annunciava non delle dottrine che spiegassero il perché delle cose, ma l’evento della croce. Cristo illumina la tua realtà soprattutto perché è sceso nell’abisso delle tue tenebre, della tua morte e della tua disperazione.
-Come cristiani, non ci è permesso di andare oltre o di cercare altre strade. Dio non ci ha consegnato ricette o dottrine filosofiche, facili consolazioni o soluzioni ai problemi del mondo. Dio ci ha consegnato se stesso, morto sulla croce e risorto, vivo per sempre in mezzo a noi.
-Io posso essere luce solo se seguo le logiche di Dio; ti evangelizzo prima di tutto se sono pronto a piangere con te, ad ascoltarti, a morire per te. Ti evangelizzo solo se ogni giorno mi fido della chiamata di Dio, che mi invita a lasciare le mie sicurezze, le mie reti, per seguirlo dove lui mi conduce.
-Questo è il primo segno che illumina il mondo: l’amore che assume le dimensioni e lo scandalo della croce, senza cercare di risolvere dei problemi, ma riconoscendo che quella è la via che Dio ha scelto per salvarci.
-Il secondo segno di luce ce lo ricorda Paolo ed è oggetto di preghiera in questi giorni per tutta la Chiesa: si tratta dell’unità tra i cristiani. Non possiamo essere luce per il mondo se siamo divisi tra noi: Cristo deve unirci e non dividerci. Eppure tante volte questo è così difficile, e ce ne accorgiamo nella vita delle nostre comunità. Come tra i cristiani di Corinto, anche tra noi avviene che non ci sentiamo uniti dall’appartenenza a Cristo, ma divisi dall’appartenenza ad altre persone o realtà: io sono di quel parroco, io sono di quel gruppo, io sono di quel movimento, io faccio quel servizio… e questo distrugge la Chiesa anziché edificarla! Non basta fare tante attività e belle celebrazioni: se non c’è unità tra di noi, se non ci riconosciamo uniti in un solo corpo, se non riconosciamo che le nostre differenze sono ricchezze e non ostacoli per l’unità della Chiesa, la Galilea delle genti continuerà a stare al buio, perché nessuno la illumina portando Gesù.
-In questo giorno in cui i membri dell’AC parrocchiale rinnovano la propria adesione, è bene ricordarci di questo: l’AC non è un corpo estraneo dentro la parrocchia, o uno tra i tanti gruppi che fa qualcosa in parrocchia. È invece espressione viva della Chiesa, di come la Chiesa dovrebbe essere: il corpo di Cristo, le cui membra sono profondamente unite in lui nelle loro differenze, e dove ognuna si mette al servizio delle altre.
-Non stanchiamoci di pregare e di impegnarci, perché tutti possano vedere nella nostra unione la bellezza del volto di Cristo.