III domenica di Avvento anno A 11/12/2022
-È la gioia a fare da sfondo a questa terza domenica di Avvento. Non la gioia un po’ vuota e costruita del Natale consumistico, basata sulle apparenze e sui buoni sentimenti. Parliamo della gioia della fede, una gioia profonda e non scontata, capace di tenere insieme la meraviglia dei miracoli di Dio e il mistero della croce e dell’apparente impotenza di Cristo. La nostra esperienza ci dice che non bastano i miracoli e i prodigi di Dio per muoverci alla fede, ma occorre l’ascolto obbediente della Parola di Dio. Anzi, possiamo dire che il più grande miracolo è proprio la fede, e la vera beatitudine non sta nel vedere miracoli, ma nel non scandalizzarsi di fronte alla tentazione dell’inutilità del Cristo e delle sue opere.
-Giovanni Battista si trova in carcere a causa della testimonianza resa a Gesù. Ma il Gesù di cui sente parlare non corrisponde a quello che lui immaginava. Giovanni vive una crisi profonda, temendo di aver fallito, di aver giocato la propria vita per la persona sbagliata, di aver accelerato i tempi. Di fronte alla domanda drammatica di Giovanni, che non è più sicuro che sia Gesù colui che deve venire, che il regno dei cieli si sia davvero avvicinato, Gesù risponde invitando a considerare i sette segni della sua venuta, come in un crescendo: i ciechi che vedono, gli zoppi che camminano, i lebbrosi che sono purificati, i sordi che odono, i morti che risuscitano, i poveri che sono evangelizzati; il settimo segno sono coloro che non si scandalizzano di Gesù: l’unico segno che rende davvero beati. Non si dice beati ai ciechi che vedono e nemmeno ai morti che risuscitano, ma solo a coloro che non trovano in Gesù motivo di scandalo.
-Ecco la sorgente della gioia cristiana, l’essere passati attraverso il mistero della croce senza scandalizzarsi di Gesù, il credere in un Dio che sembra impotente per sé e per gli altri. È la gioia del popolo d’Israele che ritorna dall’esilio in Babilonia facendo fiorire il deserto e diventando un segno di consolazione e di speranza per tutti gli smarriti di cuore. È la gioia di Giovanni, che quando capisce chi è davvero Gesù, dice senza rimpianti: «Ora questa mia gioia è piena. Lui deve crescere, io invece, diminuire». Una gioia a caro prezzo, quindi, ma proprio per questo molto preziosa e solida rispetto alle gioie momentanee di cui spesso ci circondiamo.
-Questa gioia è il motore per vivere due atteggiamenti molto concreti a cui oggi ci richiama la lettera di san Giacomo.
-Il primo atteggiamento è la costanza. Se ho trovato in Gesù la mia gioia e so che lui viene, nulla può più distogliermi da questo pensiero e dal desiderio di incontrarlo. Per questo sono costante, nonostante i tempi lunghi e le prove della vita: come l’agricoltore, che sa attendere con pazienza, certo che il seme gettato nella terra porterà un frutto prezioso. Se non sapesse questo, si stancherebbe e andrebbe a fare altro. Noi abbiamo tanto bisogno di costanza nella fede, perché ci stanchiamo facilmente, ci lasciamo scoraggiare di fronte alle prove della vita, fuggiamo dalla fatica della conversione, del lavoro su noi stessi, della preghiera, della lotta interiore. Il risultato è che ci allontaniamo da Dio e dalla preghiera proprio nel momento in cui ne avremmo più bisogno.
-Il secondo atteggiamento è legato al primo: chi è costante impara a non lamentarsi. Infatti la fede perseverante ci dona un cuore grande, come quello dei profeti.
-Chi ha poca fede si lamenta; chi attende il Signore e sa che è vicino non ha tempo di lamentarsi, è tutto proteso all’incontro con lui.
-Giovanni non si lamenta né di Gesù né dell’ingiustizia subita, ma è tutto proteso nell’attesa di colui che deve venire. Questo non lo risparmia dalla tentazione di mollare o di scandalizzarsi, perché lo scandalo è una possibilità sempre presente nella nostra razionalità. Ma l’ultima parola ce l’ha sempre per lui la fede, che lo porta a cercare, mai a ripiegarsi su se stesso.
-La gioia, la beatitudine di cui parla Gesù non è una sorta di benessere intellettuale e sensibile, ma va oltre perché è collocata nella fede, che è il nostro sì costante alla Parola di Dio. Se non c’è questa fede, inevitabilmente si cade nella lamentela, che è uno degli sport più diffusi nelle nostre comunità cristiane. Lamentarsi è molto più facile che perseverare, perché non mi obbliga a ripartire da me stesso mettendomi in discussione. Una comunità in attesa di Gesù che viene la si riconosce dal fatto che non c’è spazio per il lamento: piuttosto ci si incoraggia a vicenda, come oggi ci insegna a fare il profeta Isaia: «Dite agli smarriti di cuore: “Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio (…). Egli viene a salvarvi”».
-In questo secondo tratto dell’Avvento, proviamo a fare questo allenamento comunitario: incoraggiarci e non lamentarci a vicenda. Se qualcuno si lamenta, fermiamolo e incoraggiamolo, ricentriamo il cuore e la mente alla venuta di Gesù. E chiediamo agli altri di aiutarci a non lamentarci e non scandalizzarci mai di Gesù, per essere beati, per formare una comunità davvero gioiosa.