Dalla lettera enciclica Fratelli tutti di Papa Francesco
2219. Quando una parte della società pretende di godere di tutto ciò che il mondo
offre, come se i poveri non esistessero, questo a un certo punto ha le sue conseguenze.
Ignorare l’esistenza e i diritti degli altri, prima o poi provoca qualche
forma di violenza, molte volte inaspettata. I sogni della libertà, dell’uguaglianza e
della fraternità possono restare al livello delle mere formalità, perché non sono
effettivamente per tutti. Pertanto, non si tratta solamente di cercare un incontro
tra coloro che detengono varie forme di potere economico, politico o accademico. Un incontro sociale reale pone in un vero dialogo le grandi forme culturali che rappresentano la maggioranza della popolazione. Spesso le buone proposte non sono fatte proprie dai settori più impoveriti perché si presentano con una veste culturale che non è la loro e con la quale non possono sentirsi identificati. Di
conseguenza, un patto sociale realistico e inclusivo dev’essere anche un “patto culturale”, che rispetti e assuma le diverse visioni del mondo, le culture e gli stili di vita che coesistono nella società.
220. Per esempio, i popoli originari non sono contro il progresso, anche se hanno un’idea di progresso diversa, molte volte più umanistica di quella della cultura moderna dei popoli sviluppati. Non è una cultura orientata al vantaggio di quanti hanno potere, di quanti hanno bisogno di creare una specie di paradiso sulla terra. L’intolleranza e il disprezzo nei confronti delle culture popolari indigene è
una vera forma di violenza, propria degli “eticisti” senza bontà che vivono giudicando gli altri. Ma nessun cambiamento autentico, profondo e stabile è possibile se non si realizza a partire dalle diverse culture, principalmente dei poveri. Un patto culturale presuppone che si rinunci a intendere l’identità di un luogo in modo monolitico, ed esige che si rispetti la diversità offrendole vie di promozione e
di integrazione sociale.