La storia umana ha vissuto, vive e vivrà tempi bui: guerre, violenze, distruzioni e persecuzioni; terremoti, carestie ed epidemie; falsi maestri e profeti del male; tensioni e spaccature nelle comunità e nelle famiglie. Gesù non ha promesso eccezioni o protezioni speciali per i suoi amici; anzi, le persecuzioni sono giunte su di loro nel suo nome, per causa sua. È proprio nelle difficoltà che noi cristiani siamo chiamati a testimoniare la nostra fede in Dio e nelle promesse di Cristo: «Nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto». Nelle difficoltà ci viene chiesto di essere perseveranti nel nostro stile di vita, nella fiducia nella forza dell’amore che annichilisce ogni male, nella certezza che l’ultima parola sarà di Dio, e sarà salvezza, vittoria, vita. La storia ci ha insegnato che i tempi bui non sono la fine dell’umanità, ma l’occasione per l’uomo buono di trarre fuori il meglio da se stesso e dal mondo: cure per le malattie e strutture in grado di difendersi dai grandi terremoti; cibo ed energie per sconfiggere le peggiori carestie e principi democratici per disinnescare le tensioni e le pretese eccessive tra i capi delle nazioni. Tutto questo si attiva quando la lezione del Cristo viene, almeno parzialmente, adottata: la capacità di ascoltare, comprendere e rispettare gli altri; la scelta di impegnarsi per il loro bene, uniti nella stessa identica razza umana
Mio Dio,
dammi un’anima forte,
che le gioie terrene non possano ingannare,
nè le pene opprimere.
Poni freno ai sensi recalcitranti
e mostrami i lacci del tentatore. Tu lo puoi.
Quant’anche fossi solo nell’ora della tristezza,
lontano dagli amici e col lutto nell’animo,
tu sei presente al mio pregare.
Quando le tenebre e il timore m’assalgono,
quando è annientata la speranza o allontanata,
allora, mio Dio, consolami con dolci parole
e dimmi: «Son io, non temere».
Quando mi colpisce un inatteso colpo
del destino e lugubri pensieri mi opprimono,
la tua parola: «Son io con te»,
mi giunga come balsamo nel cuore ferito.
(san John Henry Newman, vescovo)
«Mio Dio, sono tempi tanto angosciosi. Stanotte ero sveglia al buio con gli occhi che mi bruciavano, davanti a me passavano immagini su immagini di dolore umano. Ti prometto una cosa, o Dio, soltanto una piccola cosa: cercherò di aiutarti affinché tu non venga distrutto dentro di me. L’unica cosa che possiamo salvare in questi tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio. E forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini. Sembra che tu non possa far molto per modificare le circostanze attuali, ma anch’esse fanno parte di questa vita. Io non chiamo in causa la tua responsabilità, più tardi sarai tu a dichiarare responsabili noi. Quasi a ogni battito del mio cuore, cresce la mia certezza: tu non puoi aiutarci, ma tocca a noi aiutare te, difendere fino all’ultimo la tua casa in noi. Comincio a sentirmi un po’ più tranquilla. Discorrerò con te molto spesso, d’ora innanzi, e in questo modo ti impedirò di abbandonarmi» (Etty Hillesum, morta ad Auschwitz).
Davanti ai poveri non si fa retorica, ma ci si rimbocca le maniche e si mette in pratica la fede attraverso il coinvolgimento diretto, che non può essere delegato a nessuno. A volte, invece, può subentrare una forma di rilassatezza, che porta ad assumere comportamenti non coerenti, quale è l’indifferenza nei confronti dei poveri. Succede inoltre che alcuni cristiani, per un eccessivo attaccamento al denaro, restino impantanati nel cattivo uso dei beni e del patrimonio. Sono situazioni che manifestano una fede debole e una speranza fiacca e miope. Sappiamo che il problema non è il denaro in sé, perché esso fa parte della vita quotidiana delle persone e dei rapporti sociali. Ciò su cui dobbiamo riflettere è, piuttosto, il valore che il denaro possiede per noi: non può diventare un assoluto, come se fosse lo scopo principale. Un simile attaccamento impedisce di guardare con realismo alla vita di tutti i giorni e offusca lo sguardo, impedendo di vedere le esigenze degli altri. Nulla di più nocivo potrebbe accadere a un cristiano e a una comunità dell’essere abbagliati dall’idolo della ricchezza, che finisce per incatenare a una visione della vita effimera e fallimentare. Non si tratta, quindi, di avere verso i poveri un comportamento assistenzialistico, come spesso accade; è necessario invece impegnarsi perché nessuno manchi del necessario. Non è l’attivismo che salva, ma l’attenzione sincera e generosa che permette di avvicinarsi a un povero come a un fratello che tende la mano perché io mi riscuota dal torpore in cui sono caduto.
Questa VI Giornata Mondiale dei Poveri diventi un’opportunità di grazia, per fare un esame di coscienza personale e comunitario e domandarci se la povertà di Gesù Cristo è la nostra fedele compagna di vita.
✠papa Francesco