Non possiamo averne certezza. Sappiamo che la vita, per come la scienza la concepisce, un giorno si fermerà. Il cuore cesserà di battere, il cervello colliquerà. Il corpo, lentamente ma inesorabilmente, si consumerà.
Eppure, laddove la ragione deve dichiarare il proprio limite, può subentrare la fede. La fede dei fratelli narrati nel libro dei Maccabei, che sono disposti a «morire piuttosto che trasgredire le leggi dei padri», nella convinzione che il «re dell’universo» li «risusciterà a vita nuova ed eterna». La fede di Gesù Cristo, che, venendo da Dio, sa che egli è «Dio dei viventi», e non dei morti: tutti vivono in Lui, con Lui, per Lui.
Gli esseri umani hanno bisogno di colorare la propria vita di speranza, di immaginare un porto di quiete, di recuperare i momenti di ingiustizia tra le braccia di un Signore equo e amorevole. Non sono così importanti i dettagli di ciò che ci aspetta dopo la morte, quanto continuare ad «aggiungere vita ai giorni, più che aggiungere giorni alla vita» (E. Bianchi). Per questo obiettivo la fede della risurrezione è un grande sostegno: relativizza le nostre preoccupazioni e ci permette di amare senza legarci troppo alle cose che passano.
Quelli che Dio riconoscerà come suoi figli staranno per sempre con lui. Non potranno più sbagliare, né cadere, né soffrire. Sentiranno e vivranno l’amore più grande ed eterno.
Liberaci, o Padre,
dalla paura della morte
e da tutte le paure che rendono
sterile e senza slancio la nostra esistenza.
Confermaci nella fede
e rendi forte e soave la nostra carità.
Aiutaci a fare della nostra vita un evento pasquale,
un passaggio di conversione:
dallo scetticismo alla fiducia,
dalla stanchezza alla speranza,
dall’indifferenza alla solidarietà,
dalla tristezza alla gioia operosa.
Rendi tutti noi, Signore,
testimoni nel mondo della tua e nostra Risurrezione.
Amen, Alleluia!
(padre Giulio Cittadini)
Nella sua lettera «ultima» don Martino Morganti chiama la propria morte, annunciata da un tumore, lo «sfratto» e si prepara a un «trasloco» che definisce facile: «All’altra sponda è obbligatorio arrivare nudi», traghettando solo «ciò che i tarli e la ruggine non distruggono e che i ladri non possono rubare». Come scrive San Paolo, la fede e la speranza cesseranno e rimarrà solo la carità. «Il cielo pensiona le religioni: ciò che riteniamo indispensabile per relazionarci con il divino sarà scavalcato dal rapporto diretto con lui (faccia a faccia)», e tutti saranno «armonizzati nella carità: senza confini, divisioni, contrapposizioni». Don Martino non fa ipotesi sulla nostra futura composizione fisico-spirituale: «Il nuovo corredo non appartiene alle nostre invenzioni e capacità». Ma crede che «saremo tutti sorpresi: il Fantasioso ci stupirà». La carità sopravviverà «senza etichette: vestire gli ignudi semplicemente perché è umanamente giusto che tutti abbiano protezione dal freddo e dal caldo; e sfamare e dissetare perché è umano, semplicemente umano, che nessuno soffra la fame e la sete». Già, perché «siamo umani e non angeli. Nessuno ci rimprovererà di non avere le ali. Saremo dei falliti se siamo stati scarsi in umanità».