Dalla lettera enciclica Fratelli tutti di Papa Francesco
214. Agli agnostici, questo fondamento potrà sembrare sufficiente per conferire una salda e stabile validità universale ai principi etici basilari e non negoziabili,
così da poter impedire nuove catastrofi. Per i credenti, la natura umana, fonte di principi etici, è stata creata da Dio, il quale, in ultima istanza, conferisce un fondamento
solido a tali principi. Ciò non stabilisce un fissismo etico né apre la strada all’imposizione di alcun sistema morale, dal momento che i principi morali
fondamentali e universalmente validi possono dar luogo a diverse normative pratiche. Perciò rimane sempre uno spazio per il dialogo.
215. «La vita è l’arte dell’incontro, anche se tanti scontri ci sono nella vita». Tante volte ho invitato a far crescere una cultura dell’incontro, che vada oltre le dialettiche
che mettono l’uno contro l’altro. È uno stile di vita che tende a formare quel poliedro che ha molte facce, moltissimi lati, ma tutti compongono un’unità
ricca di sfumature, perché «il tutto è superiore alla parte». Il poliedro rappresenta una società in cui le differenze convivono integrandosi, arricchendosi e illuminandosi
a vicenda, benché ciò comporti discussioni e diffidenze. Da tutti, infatti, si può imparare qualcosa, nessuno è inutile, nessuno è superfluo. Ciò implica includere
le periferie. Chi vive in esse ha un altro punto di vista, vede aspetti della realtà che non si riconoscono dai centri di potere dove si prendono le decisioni più determinanti.
216. La parola “cultura” indica qualcosa che è penetrato nel popolo, nelle sue convinzioni più profonde e nel suo stile di vita. Se parliamo di una “cultura” nel
popolo, ciò è più di un’idea o di un’astrazione. Comprende i desideri, l’entusiasmo e in definitiva un modo di vivere che caratterizza quel gruppo umano.
Dunque, parlare di “cultura dell’incontro” significa che come popolo ci appassiona il volerci incontrare, il cercare punti di contatto, gettare ponti, progettare
qualcosa che coinvolga tutti. Questo è diventato un’aspirazione e uno stile di vita. Il soggetto di tale cultura è il popolo, non un settore della società che mira a
tenere in pace il resto con mezzi professionali e mediatici.
217. La pace sociale è laboriosa, artigianale. Sarebbe più facile contenere le libertà e le differenze con un po’ di astuzia e di risorse. Ma questa pace sarebbe
superficiale e fragile, non il frutto di una cultura dell’incontro che la sostenga. Integrare le realtà diverse è molto più difficile e lento, eppure è la garanzia di una
pace reale e solida. Ciò non si ottiene mettendo insieme solo i puri, perché «persino le persone che possono essere criticate per i loro errori hanno qualcosa da
apportare che non deve andare perduto». E nemmeno consiste in una pace che nasce mettendo a tacere le rivendicazioni sociali o evitando che facciano troppo
rumore, perché non è «un consenso a tavolino o un’effimera pace per una minoranza felice». Quello che conta è avviare processi di incontro, processi che possano
costruire un popolo capace di raccogliere le differenze. Armiamo i nostri figli con le armi del dialogo! Insegniamo loro la buona battaglia dell’incontro!