È un malessere diffuso anche tra i cristiani: avere «l’intima presunzione di essere giusti» e «disprezzare gli altri». L’evangelista Luca giustifica il racconto della parabola del fariseo e del pubblicano proprio per educare le persone che commettono quegli sbagli. Il fariseo probabilmente è pio e giusto; non ruba e non tradisce. Abbiamo però l’impressione che in lui non vi sia amore, pur rispettando la legge della decima, nata per aiutare i poveri. Certamente in lui c’è superbia (sta «in piedi»), pregiudizio e disprezzo per chi è differente. Quanto basta per non avere il diritto di condannare nessuno («chi è senza peccato scagli per primo la pietra»). In più, il fariseo non sa nulla della storia del pubblicano. Non sa come mai lo sia diventato e in che modo sta svolgendo il suo lavoro. Anche se fosse il più grande peccatore del mondo, nessuno – tranne Dio – può conoscere il peso delle sue colpe e le circostanze che l’hanno portato a peccare. Dei peccati del pubblicano non sappiamo nulla, tuttavia notiamo che riconosce le sue colpe battendosi il petto, implorando pietà, senza neppure osare alzare gli occhi al cielo e avvicinarsi al luogo santo del Signore. La sua umiltà gli vale la comprensione e il perdono di Gesù. Il fariseo non si è nemmeno accorto del suo peccato. Il suo io è troppo imponente, è il vero ostacolo al suo incontro con Dio.
Signore,
fammi vedere la quantità e la gravità dei miei mali,
affinché li detesti e mi umili nella mia miseria.
Ma fammi anche vedere l’infinità
della tua misericordia
affinché il mio cuore vi abbia una grande
e assoluta confidenza.
O mio Dio, fammi considerare
come io mi sia comportato,
dalle mie ultime risoluzioni fino ad ora,
verso di te, verso il prossimo, verso me stesso,
e quanto i miei peccati sono cresciuti
e moltiplicati in me,
con le azioni, le parole, i desideri e i pensieri.
Richiamami alla memoria di quali benefici
ho abusato, quante ispirazioni della tua grazia
ho disprezzato,
quanti buoni movimenti ho reso inutili.
O Signore, che io conosca te, e che conosca me!
Ho avuto troppa debolezza e malizia
per commettere il male;
ma non ho abbastanza luce per detestarlo.
È una grazia che attendo dalla tua infinita bontà,
o mio Dio.
(San Francesco di Sales,
vescovo e dottore della Chiesa)
Anche Marta cambia quando ascolta Gesù e comprende qual è la parte migliore che non sarà tolta. Richiede tempo, silenzio interiore, un cuore libero dagli affanni e dalla banale concentrazione su di sé. Farlo aiuterà lei e tutti noi malati di “martalismo” a ritrovare il senso del servizio, la gioia di avere una sorella con cui ascoltare e con la quale lavorare assieme, che non l’ha lasciata sola perché sta con Gesù. Maria ascolta, mettendosi ai suoi piedi. Non fa niente. Qualche volta pensiamo che ascoltare sia perdere tempo e facciamo molta fatica a fare silenzio. In questo anno di cammino scegliamo la parte migliore che non ci sarà tolta e che è stare con Gesù, fare spazio a Lui, confrontarci con i suoi sentimenti, con la sua Parola. È solo mettendo al centro Gesù che sapremo camminare assieme, perché cercare Lui ci fa ascoltare il nostro prossimo, sentirlo vicino. Siamo sinodali se al centro c’è Gesù!
Mettiamoci, allora, ai piedi di Gesù sia da soli sia insieme (i gruppi del Vangelo formano e rigenerano la famiglia di Dio) per imparare a riconoscerlo e servirlo nei fratelli e nei fratelli più piccoli che sono anche loro il corpo di Cristo (aiutiamo le nostre comunità in questo tempo che si prevede difficile per tutti, specialmente come sempre per i più fragili, a essere attente ai bisogni concreti, a non dire “va in pace” a chi ha freddo, ma a dare lui coperta e protezione (cf. Gc 2,16). Ascoltare Gesù ci fa sentire capiti e amati, ci fa capire chi siamo e per chi siamo. Per questo la Chiesa non sarà mai un consultorio, perché troviamo noi stessi mettendoci di fronte a Gesù che è più intimo a noi di noi stessi. E Gesù è amore che cammina con noi sempre. L’incontro con Lui e con la sua famiglia non ci lascia soli, ma ci rende persone proprio perché in relazione con Dio e con gli altri. E anche per questo la Chiesa non sarà mai una ONG: la nostra è una relazione di amore con i nostri fratelli più piccoli, non “fare qualcosa” ma prendersi cura di Cristo!