XXVIII domenica T.O. anno C 9/10/2022
-Per chi conosce un po’ di geografia della Terra Santa appare strano l’itinerario di Gesù, che per andare verso Gerusalemme attraversa la Samaria e la Galilea, cioè la prende molto larga, come se noi per andare a Roma passassimo per Milano e per Torino. Considerando che l’evangelista Luca si propone come uno storico che si premura di dare notizie accurate, vien da pensare che oltre alla storia dovrebbe studiare la geografia!
-Ma Luca non scrive un resoconto scientifico, bensì la buona notizia del Vangelo. Con questa nota geografica stramba ci comunica una cosa molto importante: Gesù nel suo cammino non intende lasciare indietro nessuno, vuole incontrare in particolare l’umanità lontana da Dio: per questo passa dalla Samaria, terra di eretici, e la Galilea, terra tradizionalmente ebrea ma ormai paganizzata.
-Gesù percorre i sentieri accidentati della nostra infedeltà, dei nostri dubbi, dei nostri fallimenti, e ci incontra là dove abbiamo la tentazione di rassegnarci, di gettare la spugna di fronte ad ostacoli e sofferenze troppo grandi.
-Quei dieci lebbrosi rappresentano proprio noi, la nostra umanità ferita e umiliata. I lebbrosi erano emarginati dalla società e dalla religione, dovevano starsene in luoghi deserti per non contaminare nessuno. Così avviene anche oggi per forme moderne di lebbra. Ci sono sofferenze tanto profonde che anche i vicini si allontanano, e forse portano chi le vive anche ad isolarsi e ad allontanare gli altri. Proprio lì, dove ci siamo autoisolati e rassegnati alla nostra condizione, Gesù passa, e passando fa rinascere in noi la speranza, la ribellione al pensiero che nulla possa cambiare.
-Il primo gesto di speranza è questo grido che squarcia la solitudine: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi». È un atto penitenziale, il riconoscimento di un bisogno: abbiamo bisogno che qualcuno ci liberi, ci faccia rientrare in questo mondo, ci restituisca la nostra dignità.
-Gesù non compie subito la guarigione, ma invia i lebbrosi a presentarsi ai sacerdoti. Quando un lebbroso si vedeva guarito, doveva andare a mostrarsi ai sacerdoti, perché verificassero tale guarigione e li riammettessero nella società. Gesù chiede loro un atto di fede nella sua parola: credere di essere già guariti. E nel cammino accade proprio la loro purificazione. Questi uomini, obbedendo alla parola di Gesù, vanno a presentarsi ai sacerdoti e presto potranno realizzare il loro sogno: quello di poter tornare ad un’esistenza normale, ai loro affetti, ai loro progetti di vita.
-Tutti, tranne uno: un samaritano, che non appartiene al popolo d’Israele e che non ha nessun interesse a obbedire ad una legge che non gli appartiene. Quest’uomo non pensa più al comando di Gesù, ma ritorna sui suoi passi lodando Dio e va da Gesù per ringraziarlo. Davanti a questo gesto, Gesù appare meravigliato: non per la disobbedienza di questo samaritano, ma per la cieca obbedienza degli altri nove. E così, mentre quelli hanno ottenuto la purificazione, quest’uomo ottiene per fede la salvezza: «Alzati e va’: la tua fede ti ha salvato».
-Come sempre, non dobbiamo ridurre il messaggio del Vangelo ad una morale un po’ scontata, per la quale bisogna sempre ricordarsi di ringraziare chi fa qualcosa per noi. Il Vangelo ci offre sempre innanzitutto una buona notizia: ci dice che Gesù non è la soluzione ai problemi, ma la fonte della nostra salvezza. C’è qualcosa di più grande dei doni di Dio: più grande di questi doni è Colui che ce li dona. Tornare indietro significa non fermarsi al dono ricevuto, ma risalire al donatore.
-Tutti questi uomini si vedono guariti, ma uno solo comprende cosa è avvenuto davvero. Tutti hanno ricevuto la vita, ma solo uno ha compreso il senso per il quale viverla. Ciò che gli cambia la vita non è tanto la guarigione fisica, ma l’aver incontrato Gesù. Per questo ritorna, per non smarrire la memoria di ciò che ha ricevuto.
-Questo è in fondo ciò che dovrebbe significare per noi andare a Messa: il memoriale del nostro incontro con Gesù. Chiediamoci che cosa ci spinge ad andare a Messa ogni domenica, che significato ha per noi. Per molti si tratta di un gesto quasi meccanico, o dettato da una regola da osservare; per i più giovani può essere un luogo di ritrovo con gli amici. Ma quando noi andiamo a Messa, il nostro è un movimento di “ritorno”, come quello del samaritano guarito. Nella mia sofferenza e nel buio della mia vita ho incontrato Gesù e mi sono rivolto a lui; mi sono fidato della sua Parola e ho sperimentato il dono di una vita nuova. Ho compreso che solo lui può dare senso e bellezza alla mia vita e sono tornato sui miei passi per rendere grazie (“fare eucaristia”).
-C’è chi dà valore solo alla prima parte della Messa: fa il proprio atto penitenziale («abbi pietà di noi») e ascolta la Parola di Dio. Poi però vive in modo passivo, meccanico, annoiato, la liturgia eucaristica. Questo è il movimento dei nove che non tornano indietro: si fermano alla liturgia della parola, ma non sono capaci di ringraziare. La loro esperienza della Messa è un “andare”, non un “tornare”. Sanno andare da Gesù per chiedere aiuto, ma non tornano da lui per rendere grazie. Gesù per loro è colui che risolve problemi e non il motivo della loro gioia e il senso della vita.
-Riscopriamo la bellezza e l’importanza di fare memoria dei doni di Dio. La Messa domenicale ci aiuta a non dimenticare, a non dare per scontato quello che abbiamo ricevuto e a rimettere al centro della nostra vita Gesù, sapendo che «se moriamo con lui, con lui anche vivremo; se perseveriamo, con lui anche regneremo».