XXV domenica T.O. anno C 18/9/2022
-Possono metterci a disagio queste letture che oggi risuonano nella liturgia, per due motivi: primo, perché ci parlano di realtà che noi d’istinto sentiamo lontane dalla vita di fede, cioè la politica da un lato e l’uso delle ricchezze dall’altro. Secondo, perché ci troviamo di fronte ad una delle parabole più misteriose del Vangelo, e quando non riusciamo a capire ci innervosiamo e forse tendiamo a mettere da parte la Parola di Dio.
-Affrontiamo questi due disagi. Il primo: cosa ci dice il Signore rispetto al potere e al denaro? Sono realtà che c’entrano con il Vangelo? Certamente sì, al punto che esiste una branca della teologia morale che si chiama “dottrina sociale”, tanto importante quanto sconosciuta alla gran parte dei cristiani. Su queste due tematiche oggi il Signore ci lancia due messaggi molto forti.
-Prima di tutto, condanna senza appello chi si arricchisce sulla pelle dei poveri, chi approfitta della propria posizione disprezzando Dio e gli uomini. Noi oggi sentiamo molto attuale tutto questo, perché siamo vittime in prima persona della speculazione di chi fa crescere in modo esorbitante i prezzi dell’energia mandando in rovina tantissima gente e l’economia di tanti Paesi. Purtroppo noi ci accorgiamo di queste cose solo quando toccano le nostre tasche, ma si tratta di una realtà diffusa nel nostro mondo, per la quale viene alimentata senza scrupoli la povertà di intere popolazioni, a vantaggio degli interessi dei Paesi più potenti. Dio si presenta come il difensore dei poveri, colui che fa giustizia per loro: chiediamoci se noi in qualche misura ci mettiamo dalla parte di chi opera l’ingiustizia per coltivare i propri interessi, ad esempio attraverso l’evasione fiscale e le truffe ai danni dello Stato. Possiamo sfuggire ai controlli dello Stato, ma Dio dice: «non dimenticherò mai tutte le loro opere».
-Poi c’è la politica, e non possiamo in questi tempi non pensare alle prossime elezioni, che forse a molti danno il mal di pancia, perché si ha l’impressione che le prospettive di futuro non siano affatto buone, qualunque scelta si faccia. La politica è l’esercizio del potere per promuovere il bene comune, mentre qui ci troviamo di fronte il più delle volte alla ricerca del potere per portare avanti ideologie e interessi personali disinteressandosi dei veri problemi della gente. Cosa siamo chiamati a fare come cristiani rispetto a chi è chiamato a governare? San Paolo ci dice di pregare per loro. Forse noi siamo più bravi ad insultare e criticare chi governa, ma è più necessario e costruttivo pregare per loro, ricordandoci che il potere costituito proviene da Dio ed è fatto per creare le condizioni per «una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio».
-Passiamo al secondo disagio, quello di fronte a questa misteriosa parabola, che sembra elogiare chi fa il furbo e usa il potere in modo disonesto. Noi siamo l’amministratore della parabola. Tutti noi infatti abbiamo ricevuto dei beni, ma non ne siamo i padroni, bensì solo gli amministratori. Dobbiamo ricordarci di questo: tutto ciò che abbiamo in questo mondo non ci appartiene, ma ci viene affidato per gestirlo nel modo migliore secondo le intenzioni del padrone, che è Dio solo. Con i nostri peccati abbiamo sperperato i beni di Dio. Inoltre noi facciamo parte di un sistema iniquo, per il quale i beni non sono distribuiti in modo equo per tutti gli uomini, ma ci sono pochi ricchissimi e un’infinità di poveri che vivono in condizioni disumane. Noi, pur con tutti i nostri problemi, rimaniamo parte del mondo dei ricchi, che possiedono più di quello che serve, a scapito di tantissimi che non hanno una casa, il necessario per nutrirsi, per vestirsi, per vivere in modo decente. Non è qualcosa che abbiamo scelto, ci siamo nati dentro; ma non possiamo abituarci passivamente a questa situazione, occorre che manteniamo la consapevolezza di questo sistema di ingiustizia e che facciamo il possibile per combatterlo.
-Il Signore ci chiederà conto della nostra amministrazione: ma finché viviamo in questo mondo, possiamo fare qualcosa per evitare di trovarci fuori di casa una volta lasciato questo mondo. La soluzione sta nell’approfittare dei beni di Dio, finché li abbiamo in gestione, per creare legami di amicizia con i poveri. Se invece di tenere quei beni o di sprecarli come se fossero miei, comincio a renderli strumento di fraternità, facendoli circolare e rimettendo i debiti di chi non può sostenerli, ecco che quei beni diventeranno la chiave per garantirmi l’ingresso nel regno di Dio e la vera ricchezza che lui ha preparato per me. Infatti ad aspettarmi alla porta del Paradiso ci saranno proprio quei poveri con cui avrò condiviso i miei beni. La domanda è questa: preferisci servire Dio o le ricchezze? I soldi sono un fine o un mezzo per te?
-Occorre che apriamo gli occhi per renderci conto che la carità verso i poveri non è un atto di bontà, ma di giustizia. Saremmo buoni se donassimo ciò che è nostro; ma dato che ogni bene viene da Dio e a lui appartiene, noi possiamo solo distribuirlo nel modo più giusto possibile. Proviamo ogni tanto a girare per casa e a verificare quante cose abbiamo di troppo: nell’armadio, nel frigorifero, nei cassetti, nel conto in banca. Tutto il di più, insegnava un padre della Chiesa, Dio l’ha preparato per i poveri, ed è quindi come rubato a loro. Io possiedo troppo a causa di un sistema di ingiustizia; ma posso farmi furbo e rendere quella ricchezza disonesta lo strumento per raggiungere la ricchezza vera, la vita eterna e la comunione con i fratelli. Saprò ingegnarmi per procurarmi questa ricchezza che Dio mi ha preparato almeno quanto sono pronto a farlo quando si tratta di procurarmi i soldi e i beni di questo mondo?