-Il Vangelo di Luca nelle ultime domeniche ci ha riservato delle sberle notevoli; oggi ci fa gustare la carezza di Dio, che si chiama misericordia. Non possiamo in realtà comprendere la misericordia di Dio senza aver preso sul serio il Vangelo nella sua radicalità e nelle sue esigenze stringenti. Dio è buono, non è un buonista; ma noi lo comprendiamo solo quando riconosciamo che noi siamo cattivi.
-Ci aiuta in questo l’esperienza di san Paolo, che inizia la sua prima lettera a Timoteo sottolineando la propria condizione di peccatore e, di conseguenza, celebrando la grande bontà di Dio. Gesù Cristo, dice, «mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me, che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia». Io sono il primo tra i peccatori: per questo Gesù Cristo ha voluto in me per primo dimostrare la sua grande bontà.
-Gesù lo insegna in questo “Vangelo nel Vangelo” che sono le parabole della misericordia. In realtà si tratta di una parabola in tre scene: un pastore che cerca la pecora perduta; una donna che cerca la moneta perduta; un padre che attende il ritorno del figlio perduto, anzi, dei figli perduti. Stupisce questa insistenza sulla perdita: sembra che Dio sia proprio distratto nei nostri confronti! Ma la misericordia si manifesta solo dentro relazioni di grande libertà nei confronti delle persone: mette in conto il fatto che non tutto funzioni bene e non tutto rimanga nell’ordine stabilito. Sant’Agostino diceva che Dio ha creato l’uomo per avere qualcuno da perdonare!
-Senza fermarci a commentare nei dettagli questa bellissima parabola, proviamo a comprendere più in profondità qualcosa sulla misericordia di Dio, che sta al cuore di tutto il Vangelo e della nostra vita cristiana. Perché è bello essere cristiani? È bello perché Dio ci ama nonostante tutto, perché non smette mai di cercarci; perché abbiamo sperimentato che con Gesù saltano tutti i protocolli di giustizia che noi siamo così bravi a stabilire e a pretendere dagli altri. Siamo cristiani non perché siamo fedeli e vicini a Dio, ma perché eravamo morti e siamo tornati in vita, eravamo perduti e siamo stati ritrovati; non perché siamo dei giusti che non hanno bisogno di conversione, ma perché siamo dei peccatori convertiti.
-C’è nella prima lettura un’espressione sconvolgente, che ci apre alla contemplazione della misericordia di Dio. Il popolo ha tradito Dio, si è fatto un vitello d’oro, merita di essere distrutto. Dio propone a Mosè di ricominciare da lui solo, ma Mosè supplica per il popolo. Alla fine «il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo». Non è il popolo a pentirsi del proprio male, ma Dio. Il popolo viene risparmiato dalla giusta condanna non perché si è pentito, ma perché Dio si è pentito. Come il figlio perduto, che viene perdonato non perché si è pentito, ma perché il padre non ha mai smesso di amarlo e non guarda al suo passato, ma al suo futuro.
-A volte noi poniamo delle condizioni al perdono nei confronti delle persone: se si pente, lo perdonerò. Invece Dio ha troppa fretta di perdonare per attendere la nostra conversione: è lui che la forza, cerca di accelerarla. Come è infinitamente paziente nell’attendere il ritorno del figlio perduto, così è impaziente di fare festa per quel figlio ritornato a casa. Il padre non aspetta in casa i figli, ma esce sempre per andare loro incontro, per abbracciare quello lontano e per supplicare quello vicino. Non siede sul trono della sua giustizia, ma i suoi piedi e il suo cuore sono sempre in movimento verso chi è perduto. In questo modo ci insegna che per vivere la misericordia il primo cuore che deve convertirsi è quello di chi perdona, non di chi va perdonato. Ciò che alimenta i conflitti e le guerre è l’incapacità da parte di ognuno di fare il primo passo, rinunciando alla propria giustizia. In questo modo non si riconosce più l’altro per quello che è, un fratello amato da Dio.
-Oggi Gesù ci restituisce colui che ha peccato o che ci ha fatto un’ingiustizia come nostro fratello. Questa è la vera giustizia: riconoscere le cose per come sono nel progetto di Dio e non per come noi le abbiamo scombinate coi nostri peccati. Così il primo dei peccatori diventa il primo a godere della grazia di Dio, perché la volontà di Dio è sempre la salvezza degli uomini, non la loro rovina.
-Se Gesù è colui che accoglie i peccatori e mangia con loro, non dobbiamo mormorare o scandalizzarci, ma rallegrarci, perché a tavola con Gesù c’è un posto anche per noi, e in cielo si fa festa anche per noi.