XVII domenica T.O. anno C 14/8/2022
-Nel cuore dell’estate, mentre tutti cerchiamo riposo e di-stensione, la parola di Gesù irrompe come un fulmine a ciel sereno, quasi a voler rovinare le nostre vacanze. Qualcuno potrebbe riprendere nei confronti di Gesù le accuse mosse contro il profeta Geremia nella prima lettura: costui sco-raggia tutti con le sue parole. Del resto, questa è la sorte dei profeti: l’incomprensione del mondo. I profeti sono inviati non per dire cose piacevoli o per interpretare il sentire comune, ma per dire una verità che non si riesce o non si vuole accettare.
-Così, a chi cerca nella religione un comodo rifugio di tranquillità, Gesù risponde con questa parola: «Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione». Cosa significa? Gesù non è forse per la pace? Non ne abbiamo già abbastanza di divisioni tra gli uomini, perché lui ne porti altre? Non diciamo sempre che è il diavolo l’artefice della divisione, mentre in Cristo tutti siamo chiamati ad essere una cosa sola?
-Certo, tutto vero: Gesù è la nostra pace. Ma di quale pace parliamo? Quando parliamo di pace, noi spesso pensiamo ad una situazione di uniformità di pensiero e di opinioni, dove vengono eliminate tutte le differenze e vengono messi tutti d’accordo. È la pace di Babele, dove tutti si accordano per farsi un nome e costruire una torre che arrivi fino al cielo: una pace senza Dio.
-Se nel mondo ci sono tante guerre, il motivo è questo: nessuno vuole le guerre come fine, ma come mezzo per rag-giungere un’uniformità, nella quale il principio unificante è il proprio io. I totalitarismi e le ideologie nascono da questa idea di pace. In tale contesto, Gesù non è un elemento di pace, ma di divisione, perché mette in luce il male nascosto, mascherato di bene. Gesù è finito in croce per questo: perché la verità che annunciava metteva in luce tutti i peccati e le ipocrisie degli uomini.
-I primi cristiani hanno vissuto questo dramma: l’odio e la persecuzione dentro alle loro stesse famiglie. La lettera agli Ebrei si rivolge proprio a questi cristiani e li esorta a tenere fisso lo sguardo su Gesù, senza perdersi d’animo davanti alle persecuzioni e all’ostilità diffusa.
-La vita di fede non è una scampagnata, non è un hobby per riempire il tempo facendo qualcosa di buono: è una lotta contro il peccato che non ammette mezze misure o com-promessi. Se scegli Cristo, scegli di vivere la sua stessa passione per la venuta del regno di Dio e la sua stessa angoscia di fronte all’ostilità del mondo. Se invece cerchi una vita tranquilla, l’approvazione del mondo, il conformismo rispetto alla cultura corrente, con Cristo non hai nulla a che fare, perché non sei più un segno profetico, un costruttore della sua pace. Sei cristiano per gettare il fuoco del Vangelo sulla terra, non per spegnere quel fuoco vivendo secondo la mentalità del mondo.
-Ricordiamocelo in questi giorni, nei quali è più facile ab-bassare la guardia, come se la fede potesse andare in vacanza. Ricordiamocelo anche mentre ci accingiamo a ri-prendere la vita comunitaria in parrocchia, perché la nostra presenza e azione pastorale sia davvero profetica e non si riduca a proposte a buon mercato, con lo scopo di mettere tutti d’accordo e di aumentare i consensi. La nostra azione pastorale sarà efficace non se riempirà di persone le nostre iniziative e le nostre liturgie, ma se alimenterà il fuoco del Vangelo nel cuore delle persone che incontriamo, se saremo un vero segno profetico, anche se scomodo, per il nostro mondo che ha voltato le spalle a Dio per correre dietro a idoli muti.
-Deponiamo «tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia», e «corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti», fissando sempre lo sguardo su Gesù: allora in lui solo troveremo la pace e diventeremo operatori di pace.