Siamo tutti operai della messe del Signore. Siamo tutti chiamati a costruire il regno di Dio, una realtà di shalom, cioè pace, benessere, buone relazioni. Qualcuno se ne rende conto e s’impegna in questa direzione; altri, pur senza saperlo, con le loro azioni arricchiscono o impoveriscono questo desiderio di Dio.
Quando Gesù invia i 72 discepoli non sceglie quel numero a caso. 12 erano le tribù d’Israele, ma Gesù moltiplica l’incarico a simboleggiare tutti i popoli del mondo. Così le parole che usa tratteggiano i requisiti dei suoi «missionari». Inizia con la necessità della preghiera, cioè del radicamento in Dio di ogni scelta e dell’invocazione allo Spirito affinché guidi e sostenga le fragili capacità umane. Invita a non essere mai soli, ma accompagnati nel cammino e nell’azione; a essere sobri, essenziali e fiduciosi; ad avere ben chiaro l’obiettivo della pace e della gioia che vogliono consegnare a chi incontrano; ad aspettarsi, oltre alla presumibile riconoscenza, anche offese, rifiuti e persino persecuzioni. E conclude ricordando i risultati non si misureranno dalle soddisfazioni e ricompense terrene, ma dalla certezza che i propri nomi saranno scritti nella memoria del Padre celeste.
Ci sono infiniti modi di operare per il regno di Dio, eclatanti o nascosti, continui o estemporanei. Ma ogni gesto o parola buona sarà benedetto da Dio ed edificherà la sua casa tra noi.
Tutto il mondo è un’immensa messe.
Tutta l’umanità soffre e geme o per mancanza di Dio,
o per stordimento interiore
o per soffocamento in un oscuro male di vivere,
o per smarrimento e scontento,
o per miserie lancinanti e dolori acutissimi
che toccano gli individui, famiglie, popoli nei bisogni più essenziali.
Che ognuno si faccia operaio dove è.
Che ognuno si chini sul cuore
o sul corpo del proprio fratello,
di quanti Dio gli affida.
Che ognuno sia pronto a correre
dove Dio lo manda.
(Don Andrea Santoro, missionario martire)
In uno dei suoi viaggi pastorali mons. Ketteler celebrò la santa Messa in un collegio di religiose. Durante la distribuzione della Comunione si commosse profondamente, faticando a trattenere le lacrime e a ultimare la celebrazione. Prima di partire volle salutare le religiose, ma non trovò chi stava cercando. Chiese alla Superiora se ne mancasse qualcuna ed ella rispose che mancava la cuoca. Quando la vide la riconobbe subito. Conversando le chiese se pregava molto, ed ella rispose: «Non posso pregare molto perché sono sempre occupata. Quello che faccio è offrire il lavoro di ogni giorno. E, per porvi maggior attenzione, dedico la prima ora al Papa, la seconda ai genitori, la terza ai vescovi… e l’ultima, quando la stanchezza è maggiore, ai ragazzi che Dio chiama al sacerdozio, affinché ascoltino la sua voce e rispondano di sì con generosità». Il vescovo non le disse nulla, ma raccontò la sua storia alla Superiora. Raccontò di quando a diciotto anni, benestante, non pensava che a divertirsi. E di una notte in cui, mentre stava ballando, si vide dinanzi il volto di una religiosa che pregava per lui e scrutava la sua anima. Così si chiese se Dio volesse da lui qualcosa di più di quella vita vuota, entrò in seminario e divenne prete. Quel giorno aveva riconosciuto nella cuoca quella religiosa.
FIGLI DELLA PACE
Il Signore manda i suoi discepoli nel mondo ad annunciare il Regno di Dio. Il primo dono che portano è la pace. Anzitutto essi sono figli della pace, perché l’hanno ricevuta e la portano agli altri. Chi accoglie questo dono diventa figlio della pace, perché accetta di gustarla nella propria vita e a sua volta può portarla ai fratelli che incontra.