-Nel Vangelo di domenica scorsa avevamo ascoltato quali sono le condizioni esigenti che Gesù pone a chi vuole seguirlo. Mi stupisce sempre come, dopo aver dato condizioni tanto radicali per seguirlo, Gesù mandi i discepoli in missione con tanta facilità, senza averli messi alla prova, né averli istruiti su cosa dire. Penso che questo Vangelo sia molto attuale per la nostra Chiesa, che mai come oggi è chiamata ad essere missionaria.
-Il Vangelo mette sempre bene in luce le nostre fragilità, non per abbatterci, ma per aiutarci a riscoprire la bellezza della nostra chiamata. Vediamo ad esempio quanta fatica facciamo ad accettare il radicalismo del Vangelo e delle sue richieste. Al tempo stesso, però, quando il Signore ci invia in missione, non ci sentiamo mai pronti, avvertiamo la necessità di maggiore formazione e preparazione, attendiamo le condizioni più favorevoli, e così non partiamo mai.
-In realtà il radicalismo e l’invio missionario sono due facce della stessa medaglia. Per essere missionari e testimoni del Vangelo non serve tanto studio o formazione, ma solo un amore esclusivo per Gesù Cristo. Possiamo essere dei grandi teologi, dei grandi oratori, ma se il nostro amore per Cristo è superficiale, se il nostro cuore è diviso tra Cristo e le cose di questo mondo, non saremo mai dei testimoni credibili. Per questo Gesù non si preoccupa di insegnare ai discepoli che cosa debbano dire, ma solo lo stile con cui andare, che è già il messaggio da portare.
–Li manda a due a due: il modo più efficace di annunciare l’amore di Dio è mostrare l’amore tra i fratelli, amandosi a vicenda secondo il comandamento di Gesù. Non saremo mai testimoni credibili del Vangelo da soli; nessuno può essere cristiano da solo.
–Li invita a pregare: la preghiera li aiuterà ad aprire gli occhi sull’opera di Dio. A volte pensiamo di dover fare tutto noi, mentre Dio ha già fatto tutto; a noi tocca solo raccoglierne i frutti. Ma se un campo viene seminato e al momento della mietitura non c’è nessuno che raccolga i frutti, a cosa sarà servita quella semina? Anziché pregare perché gli uomini portino frutti di fede, dovremmo pregare perché non manchino coloro che raccolgono questi frutti. Se tanti sono ancora lontani dalla fede è solo perché pochi sono disposti ad annunciare l’amore di Dio tra gli uomini. Stiamo tutti fermi ad aspettare che la gente accorra da noi, mentre siamo noi che dobbiamo andare a cercare i frutti dell’opera di Dio nella gente. Ma questo solo la preghiera ci aiuta a vederlo e a desiderarlo.
–Li manda come agnelli in mezzo a lupi: lo stile di chi porta il Vangelo è lo stesso stile di Gesù che ama senza difendersi. Siamo in un tempo difficile, che fa emergere i nostri istinti violenti, per cui prevale la convinzione che l’aggressore vada distrutto con le sue stesse armi. Chi parla di pace, invece, è considerato uno sprovveduto fuori dalla realtà. Ma per il discepolo non si tratta di portare avanti una vaga ideologia pacifista, ma solo di imitare il proprio maestro. Solo così la pace che porta è efficace.
–Li manda perciò senza sicurezze materiali, totalmente bisognosi: affidati alla provvidenza di Dio. Questo è il nostro biglietto da visita, che vale più di tante belle prediche. Come crederà il mondo nella venuta del regno di Dio se noi per primi ci affidiamo alle sicurezze del mondo?
Noi saremo la prova vivente che il regno di Dio è vicino, se non avremo altro vanto che nella croce del Signore Gesù Cristo.
-Questo è il vero motivo della nostra gioia. Una gioia che non deriva dal successo della nostra missione, dall’essere accolti dal mondo o dal convincere molte persone. Se così fosse, sarebbe una gioia passeggera, perché tutti facciamo esperienze di delusione e di fallimento. La nostra gioia, dice Gesù, sta nel sapere che i nostri nomi sono scritti nei cieli. Non importa che siano scritti sui libri di storia o su qualche monumento o sul calendario: sarebbe solo gloria umana, mentre il nostro vanto e la nostra gloria sta in Gesù crocifisso.
-Per questo non possiamo rimandare la missione: c’è una messe abbondante, ma gli operai sono pochi. Vinciamo perciò tutte le paure, le incertezze, il timore di disturbare o di essere rifiutati. Temiamo piuttosto che tanti frutti rimangano incolti e vadano persi a causa dei nostri ritardi o della nostra vergogna o della convinzione di non essere pronti. Temiamo che la nostra vita non sia un annuncio continuo del regno di Dio, perché rimaniamo schiavi della mentalità di questo mondo e dei suoi idoli, ingabbiati nella mediocrità di chi non vuole correre rischi. Se i discepoli non si fossero fidati e non fossero partiti, forti solo della parola di Gesù, non avrebbero mai sperimentato la vera gioia. Che questa gioia possiamo provarla anche noi, raccogliendo in abbondanza i frutti dell’opera di Dio in tutti coloro che incontreremo.