Corpus Domini anno C 19/6/2022
-Per noi è un motivo di grande gioia celebrare la solennità del Corpus Domini, che dà il nome alla nostra parrocchia; in realtà con questo titolo possiamo indicare tutta la Chiesa. Nel primo millennio, quando si parlava del “Corpo di Cri-sto” si intendeva prima di tutto la Chiesa, poi anche il Sa-cramento dell’Eucaristia. Era evidente a tutti che la Chiesa era il Corpo di Cristo risorto che cammina nella storia. All’inizio del secondo millennio si cominciò invece a indi-care primariamente il pane consacrato come il Corpo del Signore, in reazione ad eresie che negavano la presenza reale di Gesù nel segno del pane e del vino consacrati nella Messa. A questo punto nacque la festa del Corpus Domini, e con questa anche tutte le forme di culto dell’Eucaristia fuori dalla Messa, come l’adorazione e le processioni euca-ristiche.
-E oggi, nel terzo millennio, a che cosa pensiamo parlando del Corpo del Signore? Ci dice ancora qualcosa questa pa-rola? E può bastarci la terminologia classica del catechismo per comprenderla pienamente? L’impressione è che per molti cristiani il linguaggio usato per secoli riguardo alla presenza reale di Gesù nel pane consacrato non dica più molto, e che il rapporto con l’Eucaristia sia piuttosto com-plicato ed evanescente. Basta vedere come molti cristiani stanno in chiesa: si percepisce la mancanza del senso di una presenza reale importante. Quando io sono di fronte ad una persona che ha una qualche importanza per me, o sul piano affettivo, o professionale o su altri piani, il mio atteggia-mento cambia. Non si tratta di una simulazione: noi siamo fatti di carne, e il nostro corpo esprime a suo modo il nostro sentire nel contesto di una relazione. Spesso però il nostro corpo non esprime tutto questo né di fronte al Corpo del Signore, presente nel tabernacolo, né nel contesto della Messa, ma rimaniamo nella stessa modalità che abbiamo in qualunque altro posto: la testa è altrove, il silenzio è sovra-stato dalle chiacchiere, gli occhi cadono più sullo schermo del telefono che sulla presenza di Gesù vivo. Se siamo ad una riunione di lavoro e ci suona il telefono, mettiamo subi-to giù; se capita a Messa, vedo che diverse persone escono a rispondere, o addirittura rispondono restando in chiesa… Quando non c’è la consapevolezza di una presenza viva e reale, non esiste nemmeno una vera relazione, ma riman-gono solo gesti rituali formali e in fondo vuoti.
-Tutto questo rispecchia la cultura “liquida” nella quale siamo immersi, dove perfino il corpo diventa “fluido” e non esprime più ciò che si è, ma ciò che si sente. Così lo stesso pane consacrato che riceviamo nella Comunione non esprime più ciò che Gesù ci ha consegnato, ma ciò che noi decidiamo che debba esprimere. C’è chi fa la Comunione sempre e senza pensarci troppo, esercitando come una spe-cie di diritto civile, c’è chi non la fa mai perché non si sente mai degno di farla; tutto dipende da come ci si sente.
-Ma il Corpo e il Sangue del Signore ci rimandano ad una relazione oggettiva, dove tutto il nostro essere è coinvolto, non solo i sentimenti e la volontà, ma anche il corpo stesso. Gesù dice: «questo è il mio corpo che è per voi; fate questo in memoria di me». Quel corpo non è per se stesso, non ap-partiene a se stesso; e quello che facciamo nella Messa lo facciamo “in memoria di lui”, non secondo le nostre inten-zioni o i nostri privati modi di sentire.
-Quando noi mangiamo questo pane e beviamo al calice, noi facciamo una cosa precisa, anche se non ci pensiamo e non lo “sentiamo”: annunciamo la morte del Signore, finché egli venga. Non è un esercizio intellettuale o dialettico: quel corpo noi lo mangiamo e quel sangue lo beviamo, di-ventano una cosa sola con noi. Noi diventiamo quel corpo che mangiamo. Così annunciamo la morte di Gesù assu-mendola, morendo ogni giorno al peccato, donando la vita per gli altri nel nome di Gesù. Questo è il servizio della Chiesa, il Corpo del Signore, finché lui venga alla fine dei tempi.
-«Voi stessi date loro da mangiare»: non possiamo pensare il nostro essere cristiani senza entrare in relazione “corpo-rea”, reale, con gli altri, senza comprometterci come ha fatto Gesù con noi. Tanti servizi sociali possiamo e dobbiamo delegarli a chi ha la facoltà e il compito di svolgerli; ma nessuno può sostituirci nel rendere presente Gesù agli uo-mini che vivono nel deserto della nostra storia. Noi non siamo propagatori di ideologie o promotori di valori umani: siamo i discepoli che ricevono dalle mani di Gesù il pane da distribuire alla folla, collaboratori di comunione, molti-plicatori di gioia. Non rimandiamo perciò la gente altrove a cercare da mangiare, perché il cibo di cui hanno bisogno è stato messo nelle nostre mani per essere condiviso: è il cor-po del Signore, che è per noi e per tutti.