Pentecoste anno C 5/6/2022
-La Pentecoste è il compimento del tempo pasquale, e può davvero comprenderla nella sua importanza solo chi ha vis-suto questo tempo di 50 giorni nella sua ricchezza unica. Purtroppo dalle nostre parti è stata persa e mai più recuperata la centralità di questo tempo, da cui tutta la vita cristiana prende senso. A 60 anni dal Concilio Vaticano II che ha rimesso al centro il mistero pasquale, dobbiamo riconoscere che non è cambiato molto nella nostra Chiesa occidentale, sempre più in declino proprio perché ha dimenticato la centralità della Pasqua per ridursi ad una comunità che vive un’eterna quaresima, prigioniera di un moralismo che non rende ragione della vita nuova che lo Spirito Santo ci ha donato venendo ad abitare in noi. Il prodigio della Pentecoste, che ha messo in cammino gli apostoli per portare l’an-nuncio di Gesù risorto a tutti i popoli, sembra tante volte bloccato nelle nostre comunità, che rimangono chiuse dentro al cenacolo anziché uscire per dare testimonianza di questa vita nuova, nella quale il Vangelo si compie e non rimane lettera morta.
-Che cos’è questa vita nuova di cui parliamo? Ce lo descrive bene san Paolo nel capitolo 8 della lettera ai Romani, di cui abbiamo ascoltato un brano nella seconda lettura, ma che consiglio di leggere tutto. È la risposta alla domanda drammatica che l’apostolo pone nel capitolo precedente. Paolo, che prima di incontrare Cristo fondava tutta la pro-pria vita sull’osservanza della Legge di Mosè, si fa voce dell’uomo religioso che si scopre incapace di compiere quella Legge.
-Possiamo sentirci ben rappresentati dalle sue parole: io non faccio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Mentre cerco di osservare la legge di Dio, sento che dentro di me c’è un’altra legge: «nel mio intimo acconsento alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un’altra legge, che combatte contro la legge della mia ragione e mi rende schiavo della legge del peccato, che è nelle mie membra» (Rm 7,22-23). L’apostolo lancia allora un grido di sconforto: «Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte?» (Rm 7,24). Forse anche a noi è capitato di vivere lo stesso sentimento di impotenza, con tanti buoni propositi che vanno ad infrangersi nel muro della nostra debolezza.
-Qui entra in gioco la potenza della Pasqua: noi crediamo infatti in Gesù Cristo, che per noi ha vinto il peccato e la morte e ci ha donato il suo Spirito. Se Cristo è in noi, non significa che siamo miracolosamente più buoni o più forti davanti al male: «il vostro corpo è morto a causa del peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia». C’è qualcuno che mi ridà vita, che mi fa fare l’esperienza della risurrezione. Sono cristiano non perché sono perfetto e non sbaglio mai, ma perché sono un morto riportato alla vita. Per questo non vivo più come schiavo del peccato, ma lasciandomi guidare dallo Spirito di Dio, che mi fa vivere da figlio di Dio.
-Questo dono l’abbiamo ricevuto nel battesimo: lo Spirito di Gesù ha preso dimora in noi per sempre, lui è la vita che è capace di liberarci dalle nostre morti. Lui compie in noi il Vangelo, che a noi sembra così difficile vivere nella sua radicalità.
-Invochiamo dunque su di noi e sulla Chiesa lo Spirito San-to: lui ci insegnerà ogni cosa e ci ricorderà tutto quello che Gesù ci ha detto. Lui farà morire in noi le opere della carne e ci farà vivere da risorti. Lui infiammerà il nostro cuore perché raccontiamo a tutti le grandi opere di Dio.