IV domenica di Pasqua anno C 8/5/2022
-Oggi si celebra la giornata mondiale di preghiera per le vocazioni. “Vocazione” è una parola che forse ci richiama alla mente in automatico i preti e le suore; questo perché abbiamo perso la consapevolezza della nostra chiamata ori-ginaria, e abbiamo identificato la vocazione con una “mis-sione speciale” destinata a pochi eletti, dei quali diamo per scontato di non fare parte. Così suddividiamo la Chiesa tra quei pochi che “hanno la vocazione” e quei tanti che non ce l’hanno, per cui sono “cristiani normali”.
-In realtà uno dei motivi più grandi della crisi di fede che tocca il nostro tempo deriva dal fatto che abbiamo total-mente cancellato dai nostri percorsi di fede l’orizzonte vo-cazionale. Insegniamo cioè delle dottrine e facciamo tante attività coi ragazzi senza comunicare loro il dono più bello che hanno ricevuto, che è la chiamata, la vocazione unica e irripetibile con cui Dio li ha destinati ad essere felici.
-Questa vocazione l’abbiamo ricevuta nel giorno del nostro battesimo, ma si rende manifesta nel tempo, attraverso l’ascolto della Parola, la preghiera e il discernimento. Ma se io non mi faccio mai sul serio la domanda su cosa Dio vuole da me, sul senso che ha dato alla mia vita, su come vuole rendermi felice e donarmi la vita eterna, io vivrò sempre come un cristiano “senza vocazione”, come un fi-glio che non vuole conoscere il proprio nome, come una pecora che vaga senza una meta perché non riconosce la voce del pastore.
-A volte ci illudiamo di essere cristiani perché siamo stati battezzati. Questo è vero, ma solo dalla parte di Dio. Noi siamo chiamati a diventare cristiani, e questo non è sconta-to. Se un padre riconosce suo figlio, ma questi non lo rico-nosce come padre, quella paternità non gli serve a nulla, perché rifiuta di avere un’identità che viene da altri, illu-dendosi di poterne avere una autonoma.
-In realtà non c’è esperienza più bella per un cristiano del sapersi conosciuto per nome, pensato da sempre dentro ad un progetto grande: avere un ruolo unico dentro alla storia ed essere destinato ad una vita piena. Essere come una pe-cora al sicuro da ogni male, perché il proprio pastore è più grande di tutti e nessuno può strapparla dalle sue mani.
-Quanto è importante che ogni genitore, catechista, educa-tore faccia continuamente presente questa meraviglia ai piccoli, ai ragazzi e ai giovani, soprattutto in questo tempo così difficile, nel quale il mondo sembra togliere ogni pro-spettiva di futuro alle giovani generazioni. Dite loro: tu sei amato da sempre, tu sei fatto per cose grandi, non lasciarti rubare la speranza, non smettere di cercare il posto che Dio ha preparato per te nella Chiesa e nel mondo. Abbi il co-raggio di salpare verso orizzonti grandi, non lasciarti spa-ventare dalla tempesta di questo mondo che vorrebbe che tu restassi sulla riva a guardare gli altri che vivono, mentre tu ti lasci vivere, tieni chiuso un tesoro in cassaforte per paura di perderlo mettendolo in gioco.
-Anche noi come comunità cristiana veniamo interpellati, perché la Chiesa stessa ha una vocazione e non può dare per scontato di essere un gregge che ascolta la voce del pa-store. Oggi la Parola di Dio ci mette in guardia su questo. Come i Giudei che ricevono per primi l’annuncio del Van-gelo, possiamo cadere nella presunzione di non averne bi-sogno, di sapere già tutto. Come loro possiamo addirittura metterci in opposizione a Dio, non accettando che la chia-mata di Dio venga rivolta ad altri che noi consideriamo “fuori”, i cosiddetti “lontani”. Una comunità che non man-tiene vivo un atteggiamento di ascolto e di discernimento finisce per chiudersi in se stessa e di chiudere le porte a tutti quelli che desiderano avvicinarsi a Dio, guardando con gelosia e sospetto tutte le esperienze di incontro con il Si-gnore che escono dai propri schemi e dal proprio controllo. Non solo non è più una comunità missionaria, ma diventa una setta, che manipola Dio per i propri interessi e chiude le orecchie alla Parola di Dio e alla sua chiamata. Certamente in una comunità così non può fiorire una cultura vo-cazionale, ma tutto sarà vissuto in modo autoreferenziale e le relazioni saranno vissute in senso puramente utilitaristico. Ognuno sarà considerato importante a seconda del servizio che può coprire e non per la sua unicità nel progetto d’amore di Dio. Chi non può fare delle cose immediata-mente utili sparirà dai radar, come se non esistesse.
-Qual è il segno distintivo di una comunità in ascolto, aperta alle chiamate di Dio? Gli atti degli apostoli ce lo dicono: la gioia. «I pagani si rallegravano e glorificavano la parola del Signore»; «I discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo».
-Che la gioia sia sempre più il nostro segno di riconosci-mento: la gioia di essere dei chiamati; la gioia di essere cu-stoditi per sempre nella mano di Gesù, buon pastore; la gio-ia di essere destinati alla vita eterna.