III domenica di Pasqua anno C 1/5/2022
-Domenica scorsa il Vangelo ci ha raccontato delle apparizioni di Gesù risorto agli apostoli la sera della risurrezione e la settimana dopo, per indicarci questa presenza di Gesù vivo ogni domenica, quando ci raduniamo insieme per celebrare la Messa. Ma c’è una presenza di Gesù che va oltre la circostanza dell’assemblea domenicale. È importante ricordarlo, perché a volte rischiamo di essere cristiani solo di domenica, dimenticandoci di esserlo nella vita di tutti i giorni.
-Il Vangelo di Giovanni si concludeva già con la pagina di domenica scorsa; poi però fu aggiunto questo capitolo bellissimo; se ne sentì la necessità nella comunità di Giovanni quando era ormai passato tanto tempo dalla morte e risurrezione di Gesù e forse gli apostoli erano già morti. La fede nella presenza di Gesù rischiava di ridursi ad una memoria nostalgica dei tempi passati, mentre si viveva un presente davvero difficile, sia per le persecuzioni dal di fuori, sia per la nascita di eresie dentro la comunità, che portavano molti a considerare la fede cristiana come una sorta di esercizio intellettuale per pochi eletti.
-Tutto questo viene rappresentato dalla pesca fallita dei discepoli, che qui sono in sette per rappresentare la Chiesa inviata ai popoli pagani. Anche noi siamo ben rappresentati da questa immagine: la Chiesa è una barca che solca le acque di questo mondo in mezzo alle tenebre gettando le reti della Parola di Dio. Forse la nostra esperienza comunitaria è simile a quella degli apostoli: non manca la buona volontà di lavorare per il Vangelo, ma il contesto e i risultati spesso ci scoraggiano. Un cristiano oggi rischia di sentirsi frustrato, scontrandosi in ogni momento con una cultura che va dalla parte opposta al Vangelo. Sembra che la rete della Parola di Dio sia destinata a raccogliere poco o niente. Molti per paura delle delusioni e dei rifiuti si chiudono in una fede intimistica e privata, non mettendo la faccia nell’annuncio del Vangelo. Chi proclama senza paura la propria fede pubblicamente a volte viene considerato un esaltato dagli altri cristiani.
-Dentro a questo contesto, Gesù si presenta sulla riva del lago della nostra vita e ci chiede se abbiamo qualcosa da mangiare. Amaramente dobbiamo rispondere di no: le nostre reti rimangono vuote, nonostante i nostri sforzi. Siamo rassegnati ad una pastorale di conservazione, tenendoci stretto quel poco che ci rimane e mantenendo un basso profilo per paura di perdere qualcuno. Ma Gesù ci spiazza e ci invita a gettare la rete dall’altra parte. Ci insegna così che ciò che rende fruttuosa la nostra pesca non è il nostro sforzo o la nostra capacità, ma la nostra obbedienza a lui. E così ci accorgiamo che siamo molto bravi a concepire e a realizzare dei progetti pastorali e a fare delle opere buone, un po’ meno a metterci seriamente in ascolto fiducioso e obbediente, pronti a rimettere tutto in discussione. La fecondità della nostra vita cristiana e della nostra missione nel mondo sta tutta lì. Oggi la missione della Chiesa è caricata sulle spalle di addetti ai lavori, a quelli che sanno fare, bravi a parlare, pieni di doti e carismatici. Ma la missione Gesù l’ha affidata a degli incapaci, a un pugno di persone che non capivano nulla di quello che lui diceva e che hanno dubitato di lui perfino vedendolo risorto.
-Chi sei tu per dire: io non sono adatto per la missione e l’annuncio del Vangelo? Non credi che Gesù opera con te e che compie meraviglie proprio là dove umanamente ti senti inadatto?
-Gesù per affidare la sua Chiesa a Pietro non l’ha esaminato sulla ortodossia della sua fede, né sulla sue doti di oratore o di organizzatore. Gli ha chiesto solo una cosa: se lo amava. E glielo ha chiesto tre volte, come a ricordarci che ogni giorno noi dobbiamo ripartire da quell’amore lì, dall’amore originario, quello che un giorno ci ha portati a lasciare le nostre barche sul mare di Tiberiade per seguire un perfetto sconosciuto che ci prometteva di diventare pescatori di uomini.
-«Mi ami?», ti chiede oggi Gesù. Forse come Pietro senti il peso della tua indegnità, dei tuoi fallimenti, dei tuoi rinnegamenti, ma tu sai che tutto questo Gesù l’ha cancellato sulla croce, amandoti fino alla fine.
-Davanti alla chiamata alla missione, non chiederti dunque: «sono degno?» «Sono capace?» «Sono adatto?» «Cosa potrebbe capitarmi?». Chiediti solo questo: «amo Gesù?». Gli apostoli considerarono un onore essere oltraggiati e colpiti per il nome di Gesù, perché lo amavano. Per amore hanno affrontato tutto ciò di cui avevano sempre avuto paura. E io cosa potrò realizzare per amore di Gesù?