Il nostro Signore è un crocifisso. Lo adoriamo e lo benediciamo perché con la sua croce ha riscattato il dolore di ogni persona. Ha conosciuto la croce dell’ingiusta condanna: ora può comprendere gli innocenti che patiscono per le follie della scelte altrui. Ha conosciuto la croce dello scherno e del pregiudizio: ora può comprendere le vittime della maldicenza e delle bugie. Ha conosciuto la croce della fatica: ora può comprendere coloro per cui la vita è un peso. Ha conosciuto la croce della debilitazione fisica: ora può comprendere chi è infermo e impotente, su una carrozzella o in un letto. Ha conosciuto la croce dell’umiliazione e del rifiuto: ora può comprendere chi non viene accolto nella sua diversità. Ha conosciuto la croce dell’abbandono: ora può comprendere chi si sente solo, trascurato, in lutto. Ha conosciuto la croce di chi resta senza nulla: ora può comprendere la povertà, l’indigenza, la fame. Ha conosciuto la croce del silenzio di Dio: ora può comprendere chi non ha mai percepito la sua vicinanza.
Lo adoriamo e lo benediciamo, perché ha imparato ad ascoltare ogni dolore del mondo, ci abbraccia con forza e ci consola, perché nei suoi occhi leggiamo la certezza della risurrezione.
Gesù, placida luce,
luce che mai tramonta;
il volto tuo puro
coperto è di sangue e di piaghe.
Ti sei addossato la croce
pesante strumento di pena,
portandola fino al Calvario.
Ci hai Redenti dall’inferno,
per grazia tua fatti liberi;
tutti i popoli della terra
al tuo nome danno gloria.
Sul tuo capo come sole
la corona splende di spine.
Gesù, placida luce,
luce che mai tramonta.
(un prigioniero nei lager sovietici)
«Sto male! Non sopporto più i dolori: soffrire è troppo brutto!». «Calmati, Serena», dicevamo noi, «fra poco tutto finirà. Ogni ora che passa è un sollievo e andrai migliorando…». «Non dite niente. Voglio morire!».
Non sapevamo che fare: era già imbottita di antidolorifici. Pensai allora che alle persone che soffrono molto si danno i conforti religiosi.
«Serenella, vuoi che ti legga qualche pagina del Vangelo?», l’interrogai non senza timore.
«Sì, mamma», rispose con un tono di resa.
«Cosa vuoi che ti legga?». Ero preoccupata di non trovare qualcosa di adatto. «Leggimi la Passione». Mi sedetti accanto a lei e cominciai. Pian piano mi accorgevo che ciò che era descritto in quelle pagine lo avevo davanti, in un letto d’ospedale, rivissuto con simile intensità e innocenza. (una mamma)
«PADRE, PERDONA LORO…»
Nel vangelo di Luca la passione di Gesù è un’esplosione di misericordia. Il Signore per primo realizza ciò che ha insegnato e offre a noi l’esempio di perdono, anche a costo della vita. Così diviene chiaro, senza ombra di dubbio, in quale maniera egli vuole essere Messia. L’acclamazione del giorno delle Palme poteva aver illuso qualcuno; la croce, invece, porta nel mondo la luce stessa dell’amore di Dio
Il Cammino sinodale sta attivando molti eventi, diffusi in tutte le diocesi: soprattutto gruppi di ascolto e riflessione, celebrazioni, attività, iniziative culturali, dialoghi, spettacoli… e presto verranno prodotti testi di sintesi e documenti di lavoro. Ma soprattutto si sta formando uno stile: quello, appunto, sinodale. Non è un’invenzione di papa Francesco, ma è semmai un’invenzione di Gesù, che decise di lavorare per il regno di Dio, camminando insieme a una dozzina di collaboratori: “camminando”, non convocando la gente dentro una scuola, una sinagoga o un tempio; “insieme”, non muovendosi come un profeta solitario. La Chiesa ha poi fin dall’inizio accolto e praticato questo stile di itineranza comunitaria: e i sinodi, a tutti i livelli, ne segnano la storia. Si è però annebbiata qua e là, nel corso dei secoli, la prassi partecipativa dell’intero popolo di Dio, rilanciata dal Concilio Vaticano II sia per la liturgia, sia per l’annuncio e la carità. Ecco lo stile, al cui servizio deve porsi l’evento: la fraternità. Del resto “fraternità” fu una delle prime definizioni della comunità cristiana (cf. 1 Pt 2,17 e 5,9); e la fraternità non era riservata a pochi eletti, i battezzati, ma si apriva a tutti, ebrei e gentili, donne e uomini, schiavi e liberi (cf. Gal 3,27-28). La fraternità è la rete di relazioni intessute da Gesù, con la sua carne prima che con la sua parola: per questo va vissuta, più che pensata e progettata; e chi la sperimenta si rende conto che è proprio questo lo stile evangelico. La fraternità si esprime in tante direzioni, richiamate continuamente da papa Francesco già dalla Evangelii Gaudium: accoglienza, ascolto, prossimità, condivisione, solidarietà, annuncio, missione, essenzialità, povertà, e così via. In fondo papa Bergoglio impostava già quello stile sinodale che ha poi impresso alle Chiese, quando prospettava di mettersi in cammino, come cristiani, prendendo parte a quella “marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio” (EG 87).