-Questa parabola della misericordia è il cuore del messaggio di misericordia che il Vangelo di Luca annuncia con particolare forza. È una parabola scomoda: qualunque genitore o educatore si sente a disagio di fronte alla figura di questo padre prodigo di amore al punto da umiliarsi e rischiando di perdere ogni forma di autorevolezza di fronte ai figli.
-Un’altra caratteristica che rende così potente e scomoda questa parabola è il suo carattere aperto: non si sa come andrà a finire. Non si sa se il figlio minore cambierà vita né se il maggiore entrerà a fare festa per il fratello ritornato a casa. Questo ci impedisce di ridurre la parabola ad un banale insegnamento morale; ci permette invece di vederci pienamente rappresentati con la nostra storia. Noi infatti ogni giorno siamo messi di fronte a delle scelte tra il bene e il male; ogni giorno dobbiamo scegliere se vivere da figli o da schiavi; se riconoscere Dio come padre o come padrone; se lasciarci amare da lui oppure no; se riconoscere l’altro come un fratello nonostante le divergenze del passato. La nostra vita ha il finale aperto, finché siamo in questo mondo.
-Viene facile davanti a questa parabola sentirsi rappresentati da un fratello o dall’altro: ma questo sarebbe rinchiuderci dentro ad uno schema. Piuttosto dobbiamo riconoscere che noi, come entrambi questi figli, fatichiamo a vivere la figliolanza, e di conseguenza la fraternità. È difficile sentire Dio come padre, se non ne condividiamo il modo di essere padre. Questo lo vediamo nel nostro piccolo, nei rapporti che viviamo ogni giorno; e lo vediamo anche di fronte a grandi eventi che ci toccano come la pandemia e la guerra. La pandemia ha tirato fuori spesso il peggio delle persone: l’egoismo, la violenza verbale e fisica, il disprezzo della vita più fragile. La guerra, al di là dei sentimenti di angoscia e di compassione per le vittime, sta facendo emergere i sentimenti di odio nei confronti del nemico, di vendetta, di annientamento dell’altro. Chi invita a non rispondere alla violenza con la violenza, a non favorire la corsa agli armamenti, a pregare e a lavorare per il dialogo paziente, viene deriso e considerato fuori dalla realtà.
-Cosa farebbe il padre della parabola dentro a questa storia di male? È una domanda scomoda, perché mette in luce la grande distanza tra noi e Dio, che è misericordioso verso i giusti e verso gli ingiusti, verso gli aggrediti e verso gli aggressori. Questo noi non riusciamo facilmente ad accettarlo: è normale, perché noi siamo quei due figli che non si sentono fratelli. La parabola rimane aperta, e questo è un atto di misericordia di Gesù: vuol dire che c’è ancora una speranza di cambiamento per ciascuno di noi, per tutti, perfino per chi scatena le guerre e le alimenta in modo cieco.
-Come diventare figli consapevoli e grati di esserlo? Come spezzare la logica di morte che ci impedisce di riconoscere l’altro, chiunque sia, come fratello e sorella da amare e per cui dare la vita? La risposta ci viene da san Paolo: essere in Cristo. «Se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove». Cosa significa essere in Cristo? Significa non vivere più secondo le logiche di questo mondo, non vivere più per se stessi, ma lasciare che Cristo viva in noi. È una nuova creazione, e noi sappiamo che è Dio solo che crea, che è capace di far passare dal non essere all’essere. Dio fa tutto questo riconciliandoci con sé, non imputandoci le nostre colpe ma dandoci la possibilità di essere perdonati. Dio crea perdonando.
-Da parte nostra, quindi che cosa dobbiamo fare per essere in Cristo, per diventare nuove creature? Non si tratta di compiere chissà quali sforzi morali o quali penitenze. Non si tratta di pianificare la nostra vita secondo modelli astratti e irrealizzabili. Si tratta semplicemente di lasciarci riconciliare, di lasciarci amare. È la cosa più semplice e più difficile: più semplice, perché il lavoro lo fa tutto Dio, più difficile perché noi non accettiamo di farci perdonare, o perché ci sentiamo giusti (come il figlio maggiore) o perché non riusciamo a concepire che Dio sia davvero un padre che perdona (come il figlio minore).
-Dio ha affidato a noi il ministero della riconciliazione, ha dato alla Chiesa il potere di rimettere i peccati. Lì sta il segreto della creazione nuova, di un mondo veramente pacificato. È un potere posto nelle nostre mani, ben più efficace delle sanzioni e del proliferare delle armi. È la fede nella potenza di Dio, che può cambiare il nostro destino, ma solo se noi lo lasciamo fare.
-Il peggiore nemico della misericordia è la fretta. Il padre sa attendere il figlio lontano, non manda a cercarlo, non lo chiude in casa. L’unica fretta che anima il padre è quella di perdonare, mai quella di condannare: per questo corre incontro al figlio quando è ancora lontano e gli impedisce di parlare, facendo pressione ai servi perché lo rivestano da figlio e preparino il banchetto solenne per il suo ritorno. Dio agisce nei tempi lunghi, per dare tempo ai suoi figli di ritornare in sé e di ritornare a lui, come ha fatto con Israele lasciandolo vagare per 40 anni nel deserto prima di farlo giungere nella terra promessa.
-Così noi, considerando il dono del tempo che ci viene concesso, non esitiamo a lasciarci amare da Dio, per diventare nuove creature. Diamo tutto il tempo che serve per attendere il ritorno dei nostri fratelli che si sono perduti, senza condannarli; ma non perdiamo ancora tempo nel cercare l’abbraccio del Padre, che ci attende per perdonarci.