Dio ama, dunque chiama
Solitamente, quando qualcuno ci chiama è perché ha bisogno di noi. A volte ci fa piacere, a volte c’infastidisce. In alcuni casi la chiamata è legata a un complimento o a un incarico di responsabilità. Questo ci inorgoglisce, ma ci porta a un patto chiaro: se faremo bene ne avremo una ricompensa.
Le figure della Bibbia ci raccontano un diverso modo di fare da parte di Dio. Egli chiama gli esseri umani al suo servizio, ma non prima di averli beneficati. Un suo segno tangibile d’amore accompagna sempre una chiamata. Così Isaia è toccato sulle labbra e perdonato, prima di accettare l’incarico; così Paolo ricorda di aver trasmesso il dono di Cristo che lui aveva ricevuto nonostante la sua indegnità, da ex persecutore; così i pescatori di Galilea, accogliendo la Parola di Gesù, prendono una «quantità enorme di pesci» che salva la loro giornata.
La chiamata di Dio ha anche la caratteristica di disfare i precedenti piani umani, portando nuove e più alte mete: gli Apostoli saranno pescatori di uomini. Non per catturarli, come il paragone potrebbe suggerire, ma per liberarli, fornendo loro mari puliti, cibo migliore, vita e benessere. È il centuplo che Gesù promette a chi ha lasciato tutto per lui, non come semplice ricompensa al costo del sacrificio, ma come constatazione di ciò che giungerà come logica conseguenza a chi ha scommesso sull’amore.
MI HAI CHIAMATO PER NOME
Signore, ti ringrazio perché mi hai messo al mondo:
aiutami perché la mia vita
possa impegnarla per dare gloria a te e ai miei fratelli.
Ti ringrazio per avermi concesso questo privilegio:
perché tra gli operai scelti, tu hai preso proprio me.
Mi hai chiamato per nome
perché io collabori con la tua opera di salvezza.
Grazie perché il mio letto di dolore è fontana di carità,
è sorgente di amore.
Di amore per te e anche di amore per tutti i fratelli.
Signore, io seguo te più da vicino, in modo più stretto.
Voglio vivere in un legame più forte
per poter essere più pronto a darti una mano,
più agile perché i miei piedi che annunciano la pace sui monti possano essere salutati da chi sta a valle.
Concedimi il gaudio di lavorare in comunione
e inondami di tristezza ogni volta che, isolandomi
dagli altri, pretendo di fare la mia corsa da solo.
Salvami, Signore, dalla presunzione di sapere tutto.
Dall’arroganza di chi non ammette dubbi.
Dalla durezza di chi non tollera i ritardi.
Dal rigore di chi non perdona le debolezze.
Dall’ipocrisia di chi salva i principi e uccide le persone.
Toccami il cuore e rendimi trasparente la vita,
perché le parole, quando veicolano la tua,
non suonino false sulle mie labbra.
(mons. Tonino Bello)
Dall’omelia del cardinale Zuppi al funerale di don Fabio
Gesù continua a prenderci con sé perché non restiamo prigionieri del buio, fosse solo abbandonandoci all’inerzia di una vita fatalista e povera di amore. Come Pietro vogliamo che la bellezza non finisca, non subisca prove, fatiche, ci liberi per sempre dalla lotta alle tenebre, a volte così faticosa. Rimane Gesù solo, solo lui, solo con la sua e la nostra vita. Gesù continua a mostrare i riflessi della gloria di Dio, anticipo di quella senza fine. «Niente avviene a caso nella vicenda umana, ma si svolge secondo il disegno del Padre» disse Biffi all’ordinazione presbiterale di don Fabio perché «non vi promette facili successi pastorali; piuttosto ci ammonisce tutti con il paragone del seme, che in lento e silenzioso disfacimento si macera nell’ombra e nell’umidità della zolla». Dio è luce e anche nella notte più oscura Gesù è lampada che non si spegne mai. Sant’Agostino dice: «Ciò che per gli occhi del corpo è il sole che vediamo, lo è [Cristo] per gli occhi del cuore». Vivere significa morire, ma con Gesù capiamo che morire significa risorgere.
Certamente Fabio non avrebbe desiderato che oggi si parlasse di lui ma lo faccio solo per ricordarmi e ricordare la gloria di Dio e la sua bellezza che Fabio ci ha trasmesso e che resta nei nostri cuori. La bellezza era nei suoi occhi buoni, nella sua evidente fragilità, della quale a volte ironizzava, come a mostrare che solo il Signore è capace di rendere luminosa la vita sempre, anche in una condizione difficile. Non faceva nulla per nasconderlo. “E del resto… cosa vuoi nascondere?”, avrebbe detto con un sorriso, guardandosi. Amava la bellezza della Parola e la sapeva comunicare, ma quella vera, concreta, espressa se necessario in dialetto, senza sfoggi inutili e ragionamenti tortuosi e proprio per questo straordinariamente efficace, divina e umana.
È la bellezza della liturgia, dei segni, della profondità nelle omelie che preparava con cura, delle catechesi, della misericordia di Dio che amministrava con paternità, misericordia che restaura la dignità di ogni persona. È la bellezza dello stare con il Signore alla sua mensa e alla mensa della fraternità, come a Montovolo, con delicato affetto, acuto e arguto. La bellezza la sapeva cogliere negli incontri personali, conoscitore sensibile dell’animo umano che illuminava con la luce penetrante e intelligente dell’amore, facendo sentire importante l’interlocutore del quale era lui a portare volentieri i pesi. Era, insomma, la bellezza della santità umanissima, esigente, ironica, decisa, severa, accogliente, mai banale seppure scherzosa.
Diceva: «L’amore astratto cerca gesti eclatanti come i fuochi artificiali, perché tutti lo notino, mentre l’amore vero è qualcosa di diverso, qualcosa che ha a che vedere con la fatica e la perseveranza, ma brucia e illumina sempre, anche nell’ora più buia». Qualcuno lo ricorda sincero e profondo, testardo, ma sempre sorridente anche nella fatica e nel dolore. Un uomo alla ricerca, in cammino con la croce al collo e nel cuore, segno del punto di partenza e di arrivo della sua vita. Una bellezza tutt’altro che disincarnata ma intransigente, perché voleva che le parole corrispondessero sempre alla vita.
Caro Fabio, Dio ti prende per mano e oggi è per te Pasqua, la bellezza tutta umana che non finisce. Grazie per il dono della tua vita, della tua intelligenza e profondità, per l’amore sofferto per la Chiesa e per le sue miserie, per la bellezza dell’amore di Gesù che hai saputo riflettere per tanti. Perdona le nostre mancanze. Il Signore, che è sempre più intimo a noi di noi stessi e non si scandalizza della nostra fragilità, che sa leggere nel profondo e ci perdona più di quanto noi facciamo con noi stessi, sciolga tutti i nodi del cuore tuo e nostro in quel canto di lode, senza diaframmi e paure, perché sì, è proprio bello per noi stare con Lui e la sua luce, solo la sua luce rende bella tutta, tutta, la miseria della nostra vita perché amata da Lui. Bellezza che non finisce a cui siamo chiamati, nella quale si ricompone in pienezza tutta la nostra vita, la tua mamma, il babbo che hai accompagnato con tanta cura, i tanti a cui hai voluto bene e che ti amano, come sapevi suscitare. Lo ripetiamo con te, ringraziandoti di avercelo sempre ricordato:
“Il Signore è uno, noi tutti fratelli”.
“Servire è regnare”. Grazie don Fabio. Prega per la Chiesa che tanto hai amato. In pace.
( card, Matteo Zuppi)