IV domenica T.O. anno C 30/1/2022
-Il Vangelo di oggi riprende da dove ci aveva lasciati do-menica scorsa: quelle parole di Gesù a commento della Scrittura che aveva proclamato nella sinagoga, «oggi si è compiuta questa Scrittura». Come abbiamo visto, Gesù è il compimento delle Scritture, in lui le Scritture antiche di-ventano un oggi anche per noi.
-Ma quando le Scritture diventano un oggi, è un problema, perché ci accorgiamo che parlano di noi e che mettono in luce la nostra incredulità e la nostra distanza da Dio. Se non siamo animati da uno spirito di umile accoglienza della Pa-rola di Dio, ma piuttosto siamo malati di presunzione reli-giosa, quella Parola può davvero farci scattare, come ac-cadde ai concittadini di Gesù. A volte stiamo davanti a Dio nello stesso modo in cui si pone satana. Prima di iniziare a predicare, Gesù era stato nel deserto, e satana l’aveva tenta-to ripetutamente: «Se tu sei figlio di Dio…» dimostralo! «Medico, cura te stesso»! Facci vedere dei miracoli e ti crederemo. Noi spesso poniamo condizioni alla fede, dob-biamo sempre avere una prova che ci convinca. Per questo, spiega Gesù, Dio per compiere i suoi miracoli si rivolge preferibilmente a gente pagana, non a chi presume della propria fede. Così il profeta Elia fu mandato a salvare una vedova che abitava fuori dalla terra d’Israele; così Eliseo guarì dalla lebbra non gente del popolo di Israele, ma Naa-man, che era un Arameo. Questo avvenne perché questi e altri profeti, come Geremia, sono sempre stati sistematica-mente rifiutati dal popolo a cui erano inviati.
-Lo stesso avviene di Gesù, che proprio a Nazaret viene guardato con sospetto: in fondo è solo il figlio di Giuseppe, pensa di essere meglio di noi?
-Questa Parola, illuminando il nostro “oggi”, ci provoca. Occorre capire quanto siamo disposti a lasciarci provocare. Quando infatti rifiutiamo le parole scomode del Vangelo che la Chiesa ci trasmette, in fondo facciamo come gli abi-tanti di Nazaret: prendiamo Gesù e lo cacciamo fuori, cer-chiamo di eliminarlo, per sostituirlo con una sua versione “light”, più adatta alle nostre esigenze e alla nostra presun-zione religiosa. Un Gesù politicamente corretto che ci ras-sicuri nelle nostre scelte, che ci permetta di non tenere conto degli insegnamenti della Chiesa che ci stanno stretti o non corrispondono con le nostre visioni ideologiche o con le nostre cattive abitudini; che ci dia una pacca sulla spalla e ci dica: l’importante è che tu faccia le cose per amore!
-Ma Gesù «passando in mezzo a loro, si mise in cammino». Puoi rifiutare la Parola di Dio, ma non la puoi fermare, questa si rivolgerà ad altri che l’accoglieranno, che non ne faranno come te un reperto archeologico, ma la riceveranno nel proprio “oggi” e per questo cambieranno vita. Impare-ranno che cos’è davvero l’amore, quell’amore in nome del quale tu rifiuti quella Parola come ti viene consegnata.
-Proprio di quell’amore oggi ci parla San Paolo nel bellis-simo inno alla carità, che non è una bella poesia da recitare o sulla quale comporre dei bei canti da chiesa, ma è una Pa-rola che mette in luce tutta la nostra incapacità di amare, il nostro bisogno di impararlo da Gesù Cristo.
-La comunità di Corinto a cui Paolo scrive era ricchissima di doni e carismi, come abbiamo sentito domenica scorsa: c’erano apostoli, profeti, maestri, operatori di miracoli e di guarigioni, gente che parlava in lingue e che sapeva inter-pretarle. Era come quelle parrocchie che vengono ammirate da tutti perché ci sono un sacco di attività e di collaboratori. Ma Paolo avverte il grande rischio che corrono i cristiani di Corinto: non sono animati dalla carità, cioè dall’amore di Dio. Ognuno è a servizio di se stesso, vive per se stesso, non sentendosi parte di un corpo. Si fanno tante cose belle, ma queste sono fini a se stesse. Era in fondo quello che vo-levano gli abitanti di Nazaret da Gesù e quello che cercano anche oggi tanti cristiani: una comunità che attirava per i miracoli e gli effetti speciali. Peccato che mancasse ciò che dà senso a tutto questo: l’amore tra i cristiani, quell’amore che si esprime nella grandezza d’animo e che evita perciò ogni forma di invidia, di orgoglio, di vanità, di mancanza di rispetto, di ricerca del proprio tornaconto, di ira, di rancore e così via. Senza questo amore, dice Paolo, a che servono i più grandi doni, che siano pure doni spirituali? Il Papa ci insegna che esiste nella Chiesa una forma di mondanità spi-rituale, forse più pericolosa di quella materiale, perché ci illude di essere dalla parte di Dio, mentre siamo molto lon-tani da lui.
-I grandi doni di Dio scompariranno, dice Paolo: le profe-zie, il dono delle lingue, la scienza… tutte quelle cose che sono molto importanti in questo mondo, oltre la morte non serviranno più, perché vedremo Dio faccia a faccia e cono-sceremo perfettamente, come noi siamo conosciuti da sem-pre. Solo l’amore resta.
-Questo non significa che non dobbiamo più curarci dei doni spirituali, dei carismi, dei servizi che Dio suscita nella Chiesa. Anzi, oggi preghiamo in modo speciale per il no-stro seminario, che è ormai immagine della fine del mondo, dato che è quasi vuoto, e che i preti sono una razza in via di estinzione.
-Che cosa ci sta dicendo il Signore con questa enorme care-stia di giovani che riconoscono la propria chiamata al ser-vizio della Chiesa? Forse ci sta illuminando sul fallimento di un certo modello di Chiesa che abbiamo fatto crescere, una Chiesa aziendale, dove si producono servizi religiosi su richiesta. È il modello della sinagoga di Nazaret: dateci quel che cerchiamo, fateci vedere dei segni. Ma le comunità cristiane molto efficienti non è detto che siano comunità animate dalla carità di Cristo. Senza questo amore, nessuno sentirà il desiderio di spendere la propria vita per Cristo, nessuno si sentirà dentro a quell’oggi in cui la Parola si compie; tutti si terranno a distanza dalla Parola di Dio, per paura di rimanerne coinvolti e di esserne profeti.
-Oggi non chiediamo a Dio di darci tanti funzionari che permettano alle parrocchie di soddisfare tutte le richieste religiose che ci piovono addosso; chiediamo invece che ci renda un po’ più poveri di mezzi e ricchi di carità, perché torniamo ad essere comunità capaci di generare profeti e pastori secondo il suo cuore, che spezzino per noi il pane della Parola e dell’Eucaristia per poi metterci tutti in cam-mino con Gesù.