Cristo è re, ma non «di questo mondo». Non dovremmo mai dimenticarcelo, da cristiani, quando siamo tentati di scoraggiarci ritrovandoci meno numerosi, incisivi e forti di un tempo passato.
Non c’è bisogno di nessuna subdola azione di marketing o santa crociata nel tentativo di rinverdire i presunti antichi fasti. La giusta dimensione cristiana è quella di sentinella dell’aurora, di lievito nella pasta, di lampada in una stanza. A Cristo non sono mai interessati i numeri dei suoi seguaci, quanto la loro fede e la loro coerenza. Egli aveva ben chiara l’illusorietà del successo in questo mondo, e presagiva il passaggio repentino dagli osanna delle folle al crocifiggilo di pochi giorni dopo.
Così come aveva ben chiaro il compito di testimone della verità. Doveva mettere il Padre davanti a se stesso, la giustizia prima della convenienza, la verità prima dell’opinione, mutevole, della sua realtà umana. Così è stato. Siamo cristiani per un dono ricevuto, e non dobbiamo far altro che «rendere ragione della speranza che è in noi», come scrive san Pietro. Che qualcuno ci ringrazi o no, che qualcuno ci segua o no, che qualcuno se ne accorga o no. Dio sta costruendo il suo Regno, e lo sta facendo grazie a noi, attraverso di noi, ma anche nonostante noi. Per questo ci viene chiesto di preoccuparci di essergli fedeli. Così serviremo il mondo e lo lasceremo migliore, più simile a quello che regge lui.
UN REGNO NON DI QUAGGIÙ
Dov’eri, o Dio, nei luoghi e nei tempi delle pandemie, delle violenze, delle sofferenze
inutili ed estreme della più debole umanità?
Sembrava avessi abbandonato la nave in fiamme, sordo alle suppliche che si alzavano da più parti, e nonostante il moltiplicarsi delle invocazioni e delle preghiere. Eppure, senza clamore, il tuo Spirito agiva.
Agiva in tutti coloro che continuavano a svolgere il proprio compito: i governanti a cercare le regole migliori per salvaguardare i veri valori; gli operatori sanitari a prendersi cura con professionalità e umanità; gli scienziati a trovare soluzioni adeguate ai nuovi problemi; la gente comune a proteggere la dignità e la salute di tutti.
Agiva ovunque la speranza e la creatività avesse il sopravvento sullo scoramento, ovunque l’amore potesse infiltrarsi nel dolore, ovunque il futuro risorgesse dalle ceneri dell’utopia. Anche Cristo venne consegnato alle forze del male, e dovette accettare la propria condizione: il suo Regno eterno non era di questo mondo. Anche le vittime del nostro tempo hanno dovuto comprendere che la vita terrena non è infinita né perfetta, ma fragile e passeggera. Dio non li ha mai abbandonati, semmai li ha chiamati per farli entrare nel tempo dell’eternità. Lì hanno trovato la dimora che non ne fa rimpiangere altre, perché lì vive l’amore più grande: quello che è Dio.